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venerdì 16 settembre 2016
Migrazioni / Una mappa interattiva

Esodi: migranti, rotte e racconti

  • #Migrazioni

I racconti dei viaggi dei migranti africani verso l’Europa, tracciano le rotte seguite dai trafficanti di esseri umani. Itinerari infernali attraverso il deserto ed il mare, incubi che lasciano ferite psicologiche profonde e che ora è possibile seguire grazie ad una mappa interattiva in continuo aggiornamento.

di Vincenzo Giardina
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Esodi: migranti, rotte e racconti

Foto grande: Ahmed Jadallah
Foto piccola: Ibrahim Malla

Shiva è nata in Liberia e ha dieci anni. In Italia è arrivata naufraga, dopo aver visto suoi compagni di viaggio annegare, e adesso il mare lo colora sempre di nero. Da oggi la sua storia, come mille altre, è online. Per leggerla basta cliccare su una mappa interattiva, aggiornata di continuo. Utile a provare a immaginare, ricostruire e ripercorrere le rotte che negli ultimi 15 anni hanno portato sulle coste italiane 730 mila uomini, donne e bambini. Migranti passati per l’inferno. In nove casi su dieci fuggiti a violenze e repressioni e poi ancora, sulle piste del Sahara o sui barconi in balia del Mediterraneo, vittime di pestaggi, stupri, torture, trattamenti inumani. Quasi sempre oltre alle ferite visibili portano con sé un malessere profondo, ancora più pericoloso: disturbi da stress postraumatico, d’ansia e del sonno, somatizzazioni legate al trauma, depressione.

Ma come sono arrivati in Italia? Le risposte le dà “Esodi”, progetto web elaborato da Medici per i diritti umani (Medu), un organizzazione non governativa in prima linea nell’assistenza ai rifugiati africani. «La mappa è fondata su oltre mille testimonianze raccolte negli ultimi tre anni nei centri di accoglienza in Sicilia, attraverso la nostra clinica mobile a Roma o a Ventimiglia e in Egitto, grazie a presidi al Cairo e ad Aswan» spiega a Nigrizia Alberto Barbieri, coordinatore dell’organizzazione: «Le interviste sono state condotte a margine degli interventi di prima assistenza medica e per la riabilitazione psicologica delle vittime di torture». A disegnare la carta dell’Africa, allora, sono i migranti stessi. Ottocentosettanta uomini, 130 donne, 133 minorenni. Età media 26 anni: abbastanza per essere già stati picchiati, taglieggiati e magari abbandonati nel deserto senza acqua né cibo, come A. D., originario del Gambia. La sua storia si legge cliccando su “Agadez”, snodo nigerino della rotta che dal Golfo di Guinea taglia il Sahel fino alla Libia. Spostando sulla mappa il cursore verso destra si incontrano passaggi obbligati, centri di smistamento e avamposti in mezzo al nulla, dal Ciad fino al Sudan. Se clicchi sulla città di Kassala trovi il racconto di H.T., fuggito dall’Eritrea per evitare un servizio militare infinito: «Ho visto con i miei occhi la polizia di frontiera vendere i migranti ai Rashaida, i trafficanti arabi».

Le rotte sono almeno cinque, variabili delle grandi direttrici dall’Africa occidentale via Niger oppure dall’Eritrea attraverso il Sudan. A volte i barconi prendono il largo dall’Egitto o dall’Algeria, più spesso dalla Libia affacciata sul Canale di Sicilia. Tempi e costi sono ostaggio di mille variabili. Se in media la rotta occidentale è percorsa in 20 mesi e quella orientale in 15, il conto da pagare aumenta in modo esponenziale con sequestri, arresti o passaggi nei “centri di transito”. Come il “Ghetto” di Sabha, un’enorme casa senza finestre con più di 300 africani rinchiusi dentro, racconta J. U., migrante nigeriano che ora ha 18 anni: “Ci davano il telefono per chiamare i nostri familiari e chiedere i soldi per il riscatto. Se non potevi pagare 1500 dinari libici ti tenevano dentro e ti picchiavano. Ho incontrato persone che erano lì da sei mesi”.

Rischi troppo grandi per scegliere liberamente di affrontarli. «I migranti eritrei fuggono dal servizio militare, ma anche i giovani che partono dall’Africa occidentale spiegano di essere stati costretti a fuggire» sottolinea Barbieri: «Nel complesso, le condizioni economiche sono addotte come ragione principale della partenza solo da un migrante su dieci». E a rendere simili tutte le rotte sono le ferite, soprattutto psicologiche. «I disturbi da stress postraumatico alimentano disagio mentale, che in assenza di interventi efficaci si cronicizza e porta alla marginalizzazione» denuncia Barbieri: «Chi finisce nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura degli ospedali italiani spesso non trova né mediatori culturali né strutture adeguate».

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