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martedì 02 aprile 2019
I media e la visita papale

Francesco, visto dal Marocco

  • #Marocco
  • #Chiesa e Missione

La stampa locale ha dato grande risalto alla visita del papa a Rabat e Casablanca, evidenziando in particolare la sua preoccupazione per i migranti e l’incontro tra i leader spirituali delle due principali religioni monoteiste.

di Luciano Ardesi
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Foto: Vatican News

Papa Francesco prosegue il suo pellegrinaggio in terra d’islam. Dopo il viaggio negli Emirati Arabi all’inizio di febbraio e il ‘Documento sulla fratellanza umana’ firmato ad Abu Dhabi, i due giorni in Marocco (30 - 31 marzo) costituiscono un’ulteriore tappa del cammino, questa volta in terra africana perché, come sottolineato da un quotidiano marocchino, “L’Africa comincia a Tangeri”.

I media locali hanno dato un notevolissimo risalto al viaggio apostolico, il 26esimo, di papa Francesco, sottolineando alcuni aspetti, trascurandone altri. Del papa hanno colto, da una parte, la preoccupazione per la situazione dei migranti, poiché il Marocco è una delle principali porte di accesso all’Europa attraverso la Spagna, e dall’altra il suo voler esprimere un segno di vicinanza alla piccola comunità cattolica e cristiana, vivificata proprio dalla presenza dei migranti. Soprattutto hanno messo in evidenza il ruolo del Marocco come punto di incontro tra cristiani e musulmani.

L’invito del re Mohammed VI al papa ha voluto del resto rappresentare il paese come luogo ideale di incontro tra due religioni monoteiste, la musulmana e la cristiana, e tra i due rispettivi leader spirituali. Il sovrano si è infatti presentato al papa come Amir al Mouminin (Comandante dei credenti), la cui influenza spirituale e politica vorrebbe estendersi ben oltre i confini del paese, benché le tensioni nella regione non lo permettano, si pensi solo all’occupazione militare del Marocco di un altro paese musulmano, il Sahara Occidentale.

Inoltre, nella sua qualità di presidente del Comitato al Quds, Mohammed VI ha colto l’occasione della presenza del papa per sottoscrivere un appello comune per preservare la città santa di Gerusalemme (al Quds - La sacra, in arabo) come patrimonio comune dell’umanità e delle tre religioni monoteiste, luogo di incontro e simbolo della coesistenza pacifica.

Della visita del papa all’Istituto che forma gli imam, predicatori e predicatrici, la stampa locale ha colto soprattutto l’impegno del re per promuovere un islam tollerante e aperto. Ciò a dispetto del terrorismo islamico ancora presente nel paese, e di partiti e gruppi fondamentalisti che ne condizionano la vita culturale e sociale.

Le parole del papa nell’incontro con i migranti presso la Caritas diocesana di Rabat e i quattro verbi che ha declinato per l’occasione - accogliere, proteggere, promuovere e integrare -, non sono stati commentati più di tanto. Lo sono state piuttosto le parole del papa sull’aereo di ritorno a proposito della politica della Spagna. Il fatto è che il Marocco si trova a dover compiere, con il sostegno economico dell’Unione europea, il “lavoro sporco” che dovrebbe fare l’Europa per respingere le migrazioni. Non a caso il governo di Rabat usa questa situazione come mezzo di pressione e di ricatto nei confronti di Madrid e di Bruxelles.

Nessun accenno invece, al di là della libertà religiosa sottolineata dal papa, al tema più generale dei diritti umani. Dietro l’apparenza della tolleranza e dell’apertura, il Marocco rimane nel mirino delle organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. Senza contare la repressione continua del popolo sahrawi.

Due mesi prima della visita papale, inoltre, è stata definitivamente condannata Nawal Besaissa, una delle figure di spicco della protesta pacifica del movimento Hirak nella regione del Rif, nel nord del paese. Un altro dei leader, Nasser Zefzafi, era stato condannato a 20 anni lo scorso giugno. A dicembre è stata chiusa un’associazione culturale, Racines, colpevole di affrontare argomenti tabù relativi alla politica, alla religione e al sesso. L’informazione, oltre alla cultura, rimane infatti uno dei settori più controllati e repressi dalla monarchia, come denunciato dai media indipendenti.

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