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lunedì 30 maggio 2016
Politiche agricole

Le lobby dell'agribusiness che minacciano l'Africa

  • #Economia
  • #Ambiente
  • #Società

La controversa alleanza tra i colossi dell'agricoltura industriale e alcune fra le più importanti agenzie umanitarie rappresenta un serio pericolo per le attività di sussistenza dei contadini africani. Un'indagine fa luce sulla questione.

di Marco Cochi
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Un nuovo rapporto pubblicato la scorsa settimana dall’Oakland Institute rivela come importanti agenzie umanitarie occidentali stiano sostenendo le controverse politiche di agribusiness, che influiscono in negativo sulla produzione e sulle possibilità di creare occupazione per i contadini in tutta l’Africa.
Secondo quanto riportato nelle 28 pagine della ricerca, i donatori occidentali costringono i paesi africani a impegnarsi per l’adozione di riforme orientate a massimizzare i profitti aziendali delle multinazionali dell’agricoltura.
Lo studio intitolato “La scellerata alleanza: cinque donatori occidentali definiscono un’agenda a favore delle corporate per l’agricoltura africana”, afferma che i governi di quattro paesi donor (Stati Uniti, Regno Unito, Danimarca e Olanda) e la Bill e Melinda Gates Foundation, stanno finanziando iniziative per promuovere le grandi aziende agricole industriali in tutta l’Africa.
Un sistema controverso che non tiene in considerazione che la promozione dell’agricoltura industriale nella regione comporta l’adozione di Ogm, di semenze brevettate e fertilizzanti chimici, con la consapevolezza che tutto questo mina l’agricoltura di sussistenza contadina esistente, la quale assicura la maggior parte della sicurezza alimentare del continente.

Modus operandi
I cinque donatori basano la loro attività in relazione all’indice di Attivazione al business dell’agricoltura (Eba), lanciato nel 2013 dalla Banca mondiale per misurare la volontà di un paese a sostenere politiche agricole, molto spesso controverse.
Un sistema di valutazione degli investimenti agricoli basato su diciotto indicatori come l’accesso alle sementi, ai fertilizzanti, alla meccanizzazione, ai mercati, alle infrastrutture, ai trasporti e ai finanziamenti. Tutto al fine di promuovere cambiamenti nelle politiche governative di ogni singolo paese, a sostegno dell’agribusiness.
Se i paesi non riescono ad attuare le riforme raccomandate dai paesi donatori Eba, vengono penalizzati nella classifica delle performance, chiaramente sviluppata per privilegiare l’agenda delle corporation agricole.
Una condotta ampiamente criticata nel rapporto, secondo cui l’Eba esemplifica una tendenza crescente nei programmi di aiuto internazionale dei vari donor, ormai trasformatisi in potenti strumenti per imporre una visione del mercato basata sul sostegno dello sviluppo del settore privato in agricoltura.

Chi detta la linea?
La relazione prosegue nel criticare l’alto profilo assunto dalle agenzie occidentali di aiuti umanitari, che in accordo con i governi locali, hanno avvallato il coinvolgimento delle grandi imprese per adottare nuove misure su temi centrali come la sicurezza alimentare e la riduzione della povertà nel mondo.
Un approccio fortemente criticato dagli esperti che hanno elaborato lo studio, i quali ravvisano la necessità di introdurre nuove e strutturate politiche nazionali per migliorare le condizioni di vita dei piccoli agricoltori africani attraverso la creazione di una rete produttiva sostenibile. Politiche che non possono essere certo dettate dalla Banca Mondiale e da un gruppo di donatori internazionali.

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