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Banche armate / La Relazione della Presidenza del Consiglio
19 Maggio 2010
Campagna a cura di Gianni Ballarini
Tempo di lettura 5 minuti

Banche armate / La Relazione della Presidenza del Consiglio
Gli istituti di credito lombardi spiccano nel sostegno all’industria armiera. Al primo posto tra le “banche armate” Ubi Banca con oltre un miliardo e 246 milioni di euro. Ma nella lista c’è anche un piccolissimo credito cooperativo di Cernusco sul Naviglio, con oltre 5 milioni di euro.

All’Ubi Banca si erano infastiditi. Era stato mal digerito il pezzo uscito nel giugno dell’anno scorso su Nigrizia,  in cui si ricordava la performance sorprendente, in tema di appoggio creditizio alle aziende armiere, da parte della galassia di banche che fanno capo al quinto gruppo bancario italiano. Nel cui Consiglio di Sorveglianza, è bene ricordarlo, siede Pietro Gussalli Beretta, vicepresidente di Beretta Holding Spa, la principale azienda italiana, e una delle prime al mondo, produttrice di armi leggere. E con signorilità, ma con altrettanta fermezza, il responsabile ufficio comunicazione di Ubi Banca aveva mandato una nota in cui si sottolineava come la policy che coinvolge tutte le banche rete e le società del gruppo era «stata rispettata anche nel 2008».

È trascorso un anno e il gruppo è passato dalla sesta alla prima posizione della classifica banche armate. Ha sestuplicato il volume d’affari, passando, come testimonia la Relazione della Presidenza del Consiglio sull’esportazione di armamenti 2010 da poco meno di 210 milioni di euro del 2008 al miliardo 246 milioni di euro del 2009. Con il picco raggiunto dal Banco di Brescia (un miliardo 228 milioni e spiccioli).

 

Ad Adista il responsabile Corporate Social Responsibility di Ubi, Damiano Carrara, conferma che la policy del gruppo «non è volta ad azzerare l’impegno nei confronti del settore che anzi consideriamo importante per la difesa dell’ordine pubblico interno e internazionale secondo i principi della costituzione italiana, ma a regolare gli interventi secondo criteri di valutazione delle singole operazioni, oggettivi e trasparenti, condivisi con varie organizzazioni sociali attente a questi temi». «Tutte le transazioni sono state effettuate nel pieno e rigoroso rispetto di tale codice di comportamento: il 97% degli importi autorizzati riguarda paesi dell’Unione Europea, come si può leggere anche nel bilancio sociale consultabile sul sito, e ha come oggetto la fornitura di componenti, ricambi e manutenzioni per aeromobili e di aeromobili non armati. Inoltre sono state declinate operazioni per un importo complessivo di 7,1 milioni di euro, in quanto dirette verso paesi non ammessi dalla policy».

A fine 2007, tuttavia, il gruppo stabilì che ogni banca del suo mondo avrebbe dovuto «astenersi dall’intrattenere rapporti relativi all’export di armi con soggetti che siano residenti in paesi non appartenenti all’Unione europea o alla Nato» e che «siano direttamente o indirettamente coinvolti nella produzione e/o commercializzazione di armi di distruzione di massa e di altri sistemi d’armamento quali bombe, torpedini, mine, razzi, missili e siluri». Quindi, dando pure per buono che il 97% degli importi è andato a paesi Ue, il restante 3%?

 

Ma i dati che fornisce la tabella ministeriale non mancano mai di stupire. Se si confermano ai vertici della speciale classifica sia il gruppo Bnp Paribas (904 milioni di euro), sia Deutsche Bank (900,5 milioni di euro, quasi 10 punti in più in percentuale rispetto al 2008) sia il Gruppo Intesasanpaolo (233,4 milioni), si scopre, con dispiacere, che è tornata a sedersi al tavolo della grande abbuffata armiera anche la Banca Popolare di Milano (4,2 milioni di euro) dopo tutte le promesse e gli spergiuri che non avrebbe mai più fatta affari con le holding del settore.

 

Forse, però, la curiosità maggior la riserva un piccola banca milanese: il Creditcoop Cernusco sul Naviglio. Una banca con 5.500 soci e soli 8 filiali nei 20 comuni della provincia di Milano. Si piazza al 17esimo posto con oltre 5 milioni di euro. Mentre è ormai un habituè della lista, la bresciana Banca Valsabbina scpa. Un istituto che ha 399 dipendenti e 54 sportelli e che ha realizzato nel 2009 5,6 milioni di euro in operazioni bancarie attinenti all’export di materiale di armamento. Nel 2008 la somma era arrivata a 11,5 milioni.

Una conferma, comunque, che il comparto armiero si appoggia con forza al mondo creditizio lombardo per avere le risorse necessarie per puntellare il proprio business.

 

Business che non conosce tramonti. La Relazione della presidenza del consiglio conferma una crescita del settore che supera il 60% rispetto al 2008 (escludendo i progetti intergovernativi), con un export autorizzato di armi che sfiora i 5 miliardi di euro (4.914.056.415,83 euro). L’Africa non rappresenta la fetta principale del business armiero italiano. Ma la crescita, soprattutto nei paesi del Maghreb, è davvero imponente negli ultimi anni. Si va da un giro d’affari di poco più di 22 milioni nel 2006 ai 300 attuali. E la nostra industria rifornisce paesi ad alto rischio di conflitti come l’Algeria (venduto anche del materiale inquietante come “agenti tossici, chimici, biologici e gas lacrimogeni”) e la Libia – al Nord –  e la Nigeria nell’area sub sahariana.

 

Tra i paesi africani pagatori ad aziende italiane attraverso banche italiane, figura al primo posto nell’elenco 2009 il Marocco  (126,25 milioni di euro), seguito dall’Algeria (69,47 milioni) e dalla Libia (51,69 milioni). In totale, le transazioni bancarie con l’Africa hanno riguardato il 7,4% dell’ammontare complessivo.

 

 

 

 

Il dossier di Nigrizia: Banche armate, parrocchie disarmate

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