È il terzo giorno consecutivo di combattimenti a Mogadiscio, in Somalia, dove, da lunedì, le milizie radicali di Al Shabaab hanno lanciato un'offensiva su larga scala contro le poche posizioni nella capitale, rimaste ancora nelle mani del governo di transizione. Gli insorti hanno concentrato i propri attacchi contro alcune vie strategiche di Mogadiscio, in modo da tagliare le linee di approvvigionamento che portano dall'aeroporto al palazzo presidenziale.
Il colpo più duro (più simbolico che tattico), ieri, quando un commando di Al Shabaab, indossando uniformi dell'esercito somalo, ha fatto irruzione nell'hotel Muna della capitale, albergo frequentato da deputati, a pochi passi da Villa Somalia. Una volta entrati, gli uomini hanno aperto il fuoco, mentre uno di loro si è fatto esplodere: almeno 33 i morti, tra cui anche alcuni parlamentari che si trovavano sul posto.
Le continue defezioni subite in queste ore dall'esercito regolare in favore degli insorti, rendono tuttavia sempre più difficoltoso distinguere le dispute interne alla stessa compagine di governo dal conflitto nel suo complesso.
Nella notte gli insorti avrebbero preso posizione nei pressi del palazzo presidenziale, lanciando un nuovo attacco, questa mattina.
Il collasso del governo di transizione è stato ancora una volta scongiurato dall'intervento dell'artiglieria e dei mezzi pesanti della missione di pace dell'Unione Africana (Amisom). La risposta è stata impietosa: una pioggia incessante di razzi e colpi di mortaio ha colpito i quartieri della capitale.
Alcuni colpi, secondo quanto riferito dall'emittente araba Al Jazeera, avrebbero colpito il mercato Bakara, ferendo 25 persone.
Secondo il responsabile del servizio ambulanze di Mogadiscio, Ali Muse, in tre giorni di combattimenti sono morte almeno 83 persone, mentre altre 163 sono rimaste ferite.
«Fino a quando saremo qui, Al Shabaab non prenderà il controllo del governo» ha dichiarato Barigye Ba-Hoku, portavoce dell'Amisom. L'attacco contro l'hotel Muna, secondo Ba-Hoku, sarebbe indice della frustrazione degli insorti, costretti a colpire obiettivi di scarso valore strategico.
Da lunedì intanto centinaia di caschi verdi continuano ad arrivare a Mogadiscio, in rinforzo agli oltre 6000 già dispiegati nella capitale.
Sull'onda emotiva degli attentati compiuti a Kampala, in Uganda, lo scorso 11 luglio, l'Unione Africana ha infatti deciso di aumentare il contingente Amisom di 4000 soldati.
Nonostante i fallimenti già sperimentati in passato, con l'intervento etiopico nel 2006 e l'operazione Restore Hope del 1992, la soluzione militare sembra essere ancora una volta l'unica opzione al vaglio della comunità internazionale. Sul fronte opposto, invece, il "nemico esterno" continua ad essere l'unico collante in un contesto sociale in cui l'appartenenza al clan viene prima di tutto.
Senza un governo dal 1991, anno della caduta del dittatore Siad Barre, la Somalia ha, infatti, vissuto fasi più o meno violente del proprio conflitto, rispondenti alle "minacce esterne" agitate dai clan che nel corso degli anni hanno rivendicato la propria egemonia.
L'elemento qaedista introdotto nell'ultimo ciclo di violenze, iniziato nel 2007, è la novità che più preoccupa oggi la comunità internazionale, di fronte al progressivo disgregamento della società somala e delle leggi consuetudinarie che per millenni hanno retto i rapporti tra diversi clan. Una nuova generazione si affaccia sul paese, formata dalle scuole coraniche, oggi strumentalizzate dai clan, ma un domani...