Addio a Ngũgĩ wa Thiong'o, titano della letteratura africana
Arte e Cultura Kenya
Il grande romanziere, drammaturgo, saggista e accademico kenyano è morto il 28 maggio a 87 anni
Addio a Ngũgĩ wa Thiong’o, titano della letteratura africana
Cresciuto nel periodo più duro del dominio britannico, lo scrittore ha sfidato il potere coloniale e postcoloniale con la sua penna e la scelta di scrivere nella sua lingua madre. Carcere, esilio e aggressioni hanno segnato la sua vita, ma non hanno piegato il suo impegno per la decolonizzazione della mente
29 Maggio 2025
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 4 minuti
Ngũgĩ wa Thiong'o

È morto il 28 maggio all’età di 87 anni ad Atlanta, Ngũgĩ wa Thiong’o, un titano della letteratura africana. Un uomo, un intellettuale, non avvezzo né ai compromessi né a compiacere gli altri. Forse per questo non ha mai ricevuto il Nobel, seppure fosse tra i più accreditati a questo riconoscimento. E sicuramente per questo è stato in carcere, esiliato, aggredito.

Ngũgĩ parla a nome del continente. Così titolava The Makererian, giornale studentesco in un numero del 1962. Si trattava della recensione della messa in scena della prima opera importante di Ngũgĩ wa Thiong’o, The black hermit, presentata al teatro nazionale di Kampala, in Uganda, nel 1962, come parte delle celebrazioni dell’indipendenza del paese. Il suo Kenya, invece, l’indipendenza l’avrebbe conquistata l’anno dopo.

Riappropriarsi del linguaggio

La grandezza di quello che sarebbe divenuto il romanziere, drammaturgo, saggista più solido e impegnato non solo dell’Africa orientale era già lì, palpabile, e gli anni successivi sarebbero serviti a maturare, elaborare, diffondere non solo opere letterarie ma il modo stesso di intendere la letteratura e ciò che la rende possibile, vale a dire la lingua.

Fu un lavoro di consapevolezza crescente il suo, che si manifestava nelle opere letterarie ma a partire dalla vita stessa. A cominciare dalla decisione di abbandonare il nome che gli era stato nato alla nascita, James, per assumerne uno legato alle sue radici, Ngũgĩ.

Nato il 5 gennaio 1938 nel distretto di Limuru, a nord di Nairobi, capitale del Kenya, allora sotto il dominio coloniale britannico, Ngũgĩ crebbe in una famiglia numerosa e con un padre poligamo, in un’area rurale. Questo non gli impedì di frequentare le scuole migliori, fin dalla primaria e, nel corso della vita, di ricevere sette dottorati.

Visse nel periodo più duro della colonizzazione britannica, quello della rivolta dei Mau Mau a cui parteciparono anche membri della sua famiglia. Da questa esperienza nel 1964 vide la luce il suo primo romanzo, Weep not child (Non piangere, bambino), la storia di due fratelli kenyani la cui famiglia deve affrontare le sfide della ribellione contro il dominio britannico. Un lavoro definito il primo grande romanzo in lingua inglese scritto da un autore dell’Africa orientale.

Fu scritto invece nella lingua madre, la lingua gikuyu, Caitaani mutharaba-ini (Il diavolo sulla croce), nel 1980. Il testo racconta di ladri che lottano per la supremazia derubando il popolo. L’autore scriveva spesso nella sua lingua e solo dopo traduceva i testi in inglese. La sua non era solo un’operazione letteraria ma, evidentemente, politica.

Il carcere e l’esilio

Non a caso la sua attività lo rese inviso a buona parte della classe dirigente del tempo ed è così che fu in prigione, dove era stato spedito senza processo per una sua opera teatrale, che scrisse sulla carta igienica proprio Caitaani mutharaba-ini.

L’esperienza della detenzione lo convinse a cercare l’esilio nel 1982, prima nel Regno Unito e poi negli Stati Uniti dove ha insegnato letteratura comparata per molti anni. Ritornò in Kenya nel 2004, ma solo per vivere una terribile esperienza. Degli intrusi irruppero nel suo appartamento, lo aggredirono e violentarono la moglie Njeeri.

Lui ha sempre detto che si trattò di un atto politico, di una vendetta. Gli scritti di Ngũgĩ wa Thiong’o fin da subito hanno esplorato le ingiustizie e le ambiguità del colonialismo, la corruzione e incapacità dell’élite postcoloniali ma anche – come dicevamo – la necessità di riappropriarsi e utilizzare le lingue africane sostituite da quelle dello straniero in un’azione che non era meramente linguistica ma che favoriva i processi di colonizzazione e di controllo.

Decolonizzare la mente

Dirompente a questo proposito è la raccolta di scritti dal titolo Decolonizing the mind (Decolonizzare la mente) pubblicata nel 1986. Il motivo di fondo di quest’opera è la riflessione su cosa volesse dire soppiantare le lingue indigene con quelle dei colonizzatori, e cioè la totale sottomissione non solo fisica ma mentale dei colonizzati.

Il fatto che questa sostituzione sia avvenuta, per l’autore – come ebbe modo di dire – valeva come testimonianza del successo dell’oppressione e della schiavitù. Gli ultimi suoi lavori sono soprattutto dei memoir.

Nel 2010 Dreams in a time of war sulla sua infanzia; nel 2012 The house of the interpreter, ambientato in gran parte negli anni ’50, durante la ribellione dei Mau Mau; e nel 2016 Birth of a dream weaver: A writer’s awakening, una cronaca dei suoi anni alla Makerere University.

Insomma un lascito che racconta la sua storia personale intrecciata con gli eventi di un’epoca tumultuosa ma dove si respiravano anche i venti del cambiamento.

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