
“Lo spazio civico, il vero ossigeno della democrazia, è soffocato da leggi draconiane, intimidazioni, controllo e violenza di stato”.
La frase è parte delle dichiarazioni di una coalizione di difensori dei diritti umani, provenienti da Kenya, Uganda e Tanzania, che si sono incontrati a Nairobi un paio di settimane fa presso l’ufficio kenyano di Vocal Africa (Voice of Community Activists Leader, Africa – Voce degli attivisti leader comunitari in Africa), per sottolineare che le frontiere non potranno dividere le loro istanze e il loro impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani e civili garantiti dalle Costituzioni dei loro paesi e minacciati da leggi e prassi governative non conformi.
Gli attivisti hanno dichiarato che nella regione la situazione si è “deteriorata drasticamente” nel corso degli ultimi anni. Hanno sottolineato in particolare l’aumento di sparizioni forzate, di omicidi extragiudiziali e l’attacco sistematico dei leader dell’opposizione. Una deriva che sembra volta sempre più chiaramente a smantellare la società civile e a limitare le libertà fondamentali.
Le sparizioni forzate e gli omicidi extragiudiziali sono una prassi sempre più frequente e preoccupante in Kenya. Secondo un rapporto di un ente paragovernativo – la Kenya National Commission for Human Rights (KNCHR, Commissione nazionale del Kenya per i diritti umani) – diffuso lo scorso dicembre, durante le manifestazioni antigovernative della Gen Z della scorsa primavera sono state uccise almeno 63 persone e ne sono state ferite almeno 600.
Da allora 82 persone sono sparite per un periodo di tempo più o meno lungo e sono ricomparse, o i loro corpi ritrovati, in seguito. 7 casi si sono verificati nel solo mese di dicembre. Al momento della pubblicazione del documento, erano 29 le persone che risultavano ancora sparite nel nulla dall’inizio delle manifestazioni di protesta nel giugno 2024. È uno dei problemi maggiormente dibattuti nel paese.
Domenica 27 aprile, il Sunday Nation ha pubblicato un articolo dal titolo significativo: “Vanished without a trace: pain and despair of families (Spariti senza una traccia: sofferenza e disperazione delle famiglie). Racconta le storie di persone scomparse in operazioni condotte dalle forze speciali della polizia e dell’esercito; in particolare operazioni antiterrorismo.
Secondo diversi attivisti intervistati le sparizioni forzate nelle operazioni antiterrorismo sono molto comuni e riguardano soprattutto i musulmani. Lo dice il rapporto “Gone but not forgotten. Unlawful killing and enforced disappearance of kenyan muslims” (Andato ma non dimenticato. Uccisioni illegali e sparizioni forzate di musulmani kenyani) pubblicato nel 2023 da Haki Africa e Justice Forum. Dal 2012 al 2023 i casi sarebbero ben 82.
Nonostante il dibattito pubblico costante e acceso, le sparizioni continuano. Durante l’incontro citato, gli attivisti kenyani ne hanno ricordato alcune. Tra gli altri Brian Odhiambo, un pescatore, sparito nella zona di Nakuru, si dice arrestato dal Kenya Wildlife Service (servizio di protezione della fauna selvatica). Uccisi in scontri con la polizia Ibrahim Ramadhan e Dennis Muthui. Tutti e tre i casi citati sono avvenuti nel corso di questi primi mesi dell’anno.
In Uganda la situazione non sembra migliore. Gli attivisti ugandesi hanno detto che rapimenti e incarcerazioni illegali di chi critica il governo “sono diventati la norma”. Il caso più noto è quello di Kizza Besigye, noto politico e leader dell’opposizione, incarcerato con accuse inventate: trumped-up è l’espressione inglese usata. Ma sono in carcere anche decine di giovani legati alla National Unity Platform (piattaforma per l’unità nazionale).
Anche in Tanzania, un tempo paese stabile e pacifico, la situazione si sta aggravando. Gli attivisti tanzaniani hanno ricordato la scomparsa di Deusdebith Soka e Ali Kibao, noti attivisti critici del governo, i cui corpi sono stati ritrovati con segni di torture.
In Tanzania, dove in ottobre si andrà a votare, è in carcere anche Tundu Lissu, il capo del partito di opposizione, Chadema, escluso dalla tornata elettorale.
Gli attivisti hanno espresso una particolare preoccupazione per un trend emergente: le deportazioni di persone che scappano dai loro paesi, molte delle quali richiedenti asilo, verso i paesi di provenienza, da cui sono fuggiti per motivi di sicurezza. Tra i casi più noti, quello di Kizza Besigye, arrestato in Kenya e deportato in Uganda nel novembre dell’anno scorso. Da allora è rinchiuso in un carcere militare.
La coalizione dei difensori dei diritti umani e civili di Kenya, Uganda e Tanzania ha sottolineato che il lavoro dei suoi attivisti è cruciale per la promozione della giustizia, della libertà e della chiamata all’assunzione di responsabilità delle autorità competenti.
Ha dichiarato che continueranno a farlo, anche se sono consapevoli dei rischi personali che questo comporta. Ma ha chiesto il supporto, che ritengono tanto necessario quanto doveroso, della Comunità dell’Africa orientale (EAC), dell’Unione Africana e più in generale della comunità internazionale.
Da parte loro, hanno assicurato che continueranno il monitoraggio della situazione e la difesa delle vittime sia attraverso azioni giudiziarie che campagne di sensibilizzazione. Hanno anche annunciato che costruiranno una rete di supporto transfrontaliera per essere in grado agire quando le violazioni riguardano persone illegalmente deportate in paesi dove sono in pericolo.
Nella dichiarazione ufficiale concludono dicendo di essere consapevoli che: “Le vite e la libertà di milioni persone dipendono dalla nostra capacità di parlare chiaro, di organizzarci e di agire in difesa della nostra comune umanità”.