Al-Masri: l’Italia non convince l’Aja - Nigrizia
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La Corte penale internazionale in 14 pagine chiede formalmente di accertare la responsabilità del governo sul rilascio del torturatore libico
Al-Masri: l’Italia non convince l’Aja
30 Giugno 2025
Articolo di Redazione
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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio

Troppe cose non tornano nelle dichiarazioni ministeriali italiane che riguardano il rilascio di Usama al-Njim al-Masri, il torturatore libico a capo della polizia giudiziaria del suo paese, accusato di crimini contro l’umanità e per questo ricercato per l’intero globo terracqueo.

La procura dell’Aja non fa un passo verso il governo italiano e continua a rimanere ferma nella solida richiesta di “accertare formalmente l’inadempienza” di chi ha scelto di rimpatriare, con un volo di stato, l’uomo su cui pendeva un mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale (CPI), che dal 2022 indaga su potenziali crimini di guerra e violazioni dei diritti umani in Libia.

Da qui la richiesta che l’affaire al-Masri prosegua davanti all’Assemblea degli stati pari o al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tutto scritto nero su bianco, in 14 pagine, quelle delle osservazioni dell’ufficio del procuratore della CPI che smonta, punto dopo punto, tutte le giustificazioni messe in fila dal nostro governo per mostrare la legittimità del rimpatrio del carceriere libico.

Carceriere su cui pendeva dal 18 gennaio un mandato e che il 19 veniva arrestato a Torino, dove si era recato per assistere a una partita di calcio della Juventus, tappa di un tour europeo cominciato dodici giorni prima. Da qui in poi, dall’arresto da parte della Digos piemontese, inizierebbero le cose che non tornano.

Secondo quanto scritto dalla procura dell’Aia, il nostro paese, oltre tre mesi dopo il rilascio, «solleva per la prima volta l’esistenza di una presunta richiesta di estradizione concorrente dalla Libia», il che dovrebbe in qualche modo giustificare il rilascio di al-Masri. Peccato però che «la documentazione fornita da Roma non include alcun mandato di arresto».

Quindi due richieste e nessuna esecuzione delle due, visto che il capo libico «non è stato né consegnato alla Corte né estradato (o arrestato) in Libia al suo ritorno. Al contrario, è stato rilasciato e trasferito liberamente a Tripoli, dove è stato accolto da una folla festante». Un comportamento strano, visto che l’Italia è stato parte e che il ministro della Giustizia Nordio avrebbe dovuto, in quanto titolare dei rapporti con la CPI, interfacciarsi con questa e relazionare subito.

La relazione dell’Aia infatti sottolinea come «gli Stati Parte sono tenuti a garantire che esistano procedure disponibili per tutti i tipi di cooperazione previsti dallo Statuto», mentre l’Italia, di fatto, non ha fornito alcuna «spiegazione valida né giustificazione per la mancata cooperazione e l’inosservanza delle richieste della Corte».

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