Algeria: la giustizia colpisce ancora attivisti e dissidenti - Nigrizia
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Nuove sentenze d'appello confermano la linea dura del regime algerino contro chi contesta
Algeria: la giustizia colpisce ancora attivisti e dissidenti
Pena ridotta a un anno per il “poeta dell’Hirak” Mohamed Tadjadit. Confermate invece le condanne per Fethi Ghares e la moglie Messaouda Cheballah. Cresce la preoccupazione per i detenuti d'opinione Tahar Larbi e Ali Mammari. In primo grado 10 anni di carcere per tre ex candidati alla presidenza
28 Maggio 2025
Articolo di Nadia Addezio
Tempo di lettura 5 minuti
Immagine generata dall'intelligenza artificiale

È arrivato il verdetto d’appello per Mohamed Tadjadit. Il 22 maggio, il tribunale di Algeri ha condannato l’attivista algerino di trent’anni, noto come “il poeta dell’Hirak”, a 1 anno di prigione da scontare nella struttura di El Harrach.

Tornato in libertà lo scorso primo novembre con la grazia presidenziale di Abdelmadjid Tebboune, il poeta è stato nuovamente arrestato il 16 gennaio per aver partecipato alla campagna “Manich Radhi”. L’hashtag si era diffuso a macchia d’olio sui social per protestare contro le condizioni economiche, sociali e politiche che si vivono in Algeria.

Il 20 gennaio, il tribunale di Rouïba lo ha condannato in primo grado a 5 anni di carcere e a una multa di 200mila dinari algerini (circa 1.300 euro). La sentenza è stata poi ridotta a un anno in appello, con la decisione definitiva dell’8 maggio, resa pubblica il 22.

Le accuse mosse contro il giovane sono quattro: avrebbe messo in pericolo l’integrità del territorio nazionale con la sua partecipazione alla campagna social, nonché leso l’interesse nazionale con “la diffusione di contenuti ritenuti lesivi per l’interesse nazionale”. Poi ancora, “incitamento alla riunione non armata tramite tecnologie dell’informazione e della comunicazione” e, infine, “oltraggio a un organismo costituito”.

Dal 2019, Tadjadit è stato arrestato più di 7 volte e imprigionato ben 5 volte.

Verdetto in appello per Fethi Ghares e Messouda Cheballah

Il 20 maggio è stata resa pubblica anche la sentenza d’appello per Fethi Ghares, coordinatore del sospeso Movimento democratico e sociale (MDS). La corte ha confermato la condanna di primo grado, emessa il 19 gennaio: 1 anno di carcere, una multa di 200mila dinari algerini e un risarcimento di 100mila dinari (666 euro) da versare all’Agente giudiziario del Tesoro (AJT).

Anche per Messaouda Cheballah, membro dell’ufficio nazionale del MDS e moglie di Ghares, è stata confermata la pena: sei mesi di reclusione con sospensione condizionale, una multa di 100mila dinari e un ulteriore risarcimento di pari importo all’AJT.

Ghares e Cheballah sono stati accusati di aver diffuso false informazioni volte a minare la sicurezza e l’ordine pubblico e di aver offeso il presidente della Repubblica.

Repressione contro attivisti e sindacalisti: i casi Larbi e Mammari

Nel contesto della repressione in atto in Algeria, non si hanno notizie di Tahar Larbi, attivista ambientalista e presidente della sezione El Abiodh Sidi Cheikh della disciolta Lega algerina per la difesa dei diritti umani (LADDH).

Fino al 15 maggio, SHOAA for Human Rights riportava che il difensore dei diritti umani era in sciopero della fame da 24 giorni e che non era stato sottoposto ad alcun controllo medico. Detenuto d’opinione, Larbi è stato arrestato il 18 settembre 2024 per aver denunciato lo sfruttamento del territorio nella wilaya di El Bayadh da parte di cittadini qatarioti.

Mentre a questi ultimi veniva concesso di praticare la caccia, l’attivista segnalava che agli abitanti locali non era consentito di far pascolare i loro animali. Larbi aveva inoltre criticato le autorità algerine e denunciato il clima di repressione delle libertà nel paese.

Per tali dichiarazioni, l’attivista è stato condannato in primo grado a 15 anni di carcere, poi ridotti a 4 in appello, con l’accusa di “offesa al presidente della Repubblica”, “danno all’immagine dei servizi di sicurezza” ed “esposizione di pubblicazioni dannose all’interesse nazionale”. Il caso di Larbi è stato preso in carico da MENA Rights Group che a febbraio lo ha sottoposto al Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria.

Anche il caso del sindacalista Ali Mammari accusato di terrorismo desta preoccupazione. Presidente del Sindacato nazionale dei funzionari della cultura (SNFC) e membro del Consiglio nazionale della Confederazione sindacale delle forze produttive (COSYFOP), Mammari è stato arrestato da agenti in borghese il 19 marzo, mentre si trovava nel suo ufficio a Oum El Bouaghi.

Detenuto in stato di fermo fino al 27 marzo, il sindacalista ha raccontato di aver subìto torture fisiche e psicologiche durante la custodia cautelare. Dopo essere stato portato innanzi al procuratore, il suo caso è stato trasmesso al giudice istruttore che ha aperto un’indagine.

Mammari è perseguito per “aver diffuso o pubblicato intenzionalmente, tramite comunicazioni elettroniche o un sistema informatico, un’informazione o un documento con l’intento di compromettere l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica”; per “apologia di atti terroristici e sovversivi, loro incitamento e finanziamento con qualsiasi mezzo”; e per la “riproduzione e pubblicazione deliberata di documenti, stampati o registrazioni che esaltano atti terroristici e sovversivi”.

Attualmente il sindacalista si trova nel carcere di Oum El Bouaghi in detenzione provvisoria, in attesa di processo. Il suo caso è stato sottoposto da MENA Rights Group ai Relatori speciali ONU sulla libertà di opinione e di espressione e sui diritti alla libertà di riunione pacifica e di associazione.

10 anni per tre ex candidati alla presidenza

L’ultima sentenza è stata emessa il 27 maggio. È una condanna in primo grado a 10 anni di carcere e all’ammenda di 1 milione di dinari (circa 6.700 euro) ciascuno per tre candidati alle elezioni presidenziali dello scorso settembre: l’imprenditrice Saïda Neghza, presidente della Confederazione nazionale delle imprese, il leader di Alleanza nazionale repubblicana Belkacem Sahli, e l’indipendente Abdelhakim Hammadi.

I tre sono ritenuti colpevoli corruzione per la compravendita delle firme necessarie per l’ammissione delle loro candidature. 

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