Algeria: nuova ondata di arresti e condanne di dissidenti - Nigrizia
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In manette una trentina di persone. Alcuni degli attivisti tornati in carcere erano stati graziati dal presidente a novembre
Algeria: nuova ondata di arresti e condanne di dissidenti
Youcef Rezzoug, giornalista e attivista algerino impegnato nella documentazione dei casi dei detenuti d’opinione, racconta da Parigi gli ultimi sviluppi del sempre più precario stato delle libertà fondamentali nel paese. «La repressione che attua il regime dimostra la sua debolezza», dice. «L’Hirak ha destabilizzato e diviso il sistema. Continuando così, il regime imploderà»
31 Gennaio 2025
Articolo di Nadia Addezio
Tempo di lettura 5 minuti
L'oppositore Fethi Ghares, coordinatore del sospeso Movimento democratico e sociale

Dopo la grazia presidenziale concessa a novembre ad attivisti e giornalisti, in Algeria sono ripresi gli arresti e le condanne alle voci dissidenti.

Come nel caso di Fethi Ghares, coordinatore del sospeso Movimento democratico e sociale (MDS), che è stato condannato il 19 gennaio a un anno di prigione e al pagamento di pesanti multe. È stato accusato di insulto al presidente della Repubblica, diffusione di informazioni dannose atte a nuocere l’ordine pubblico, incitamento all’odio e alla discriminazione.

Condannata a sei mesi anche Messaouda Cheballah Seffah, membro della dirigenza nazionale di MDS nonché moglie di Ghares, con l’accusa di complicità. Nella stessa data, il blogger e giornalista Merzoug Touati è stato condannato a due anni di reclusione e multe per aver incitato al boicottaggio delle elezioni, tra le altre accuse. Tutte personalità che in questi anni hanno fatto il “dentro e fuori” dalle carceri algerine.

L’ultimo volto noto tornato dietro alle sbarre è quello dell’attivista Mohamed Tadjadit, rimasto invischiato suo malgrado nell’ennesimo incidente diplomatico tra Algeri e Parigi.

Youcef Rezzoug, attivista algerino della diaspora impegnato nella documentazione dei casi dei detenuti d’opinione, già capo redattore del quotidiano algerino Le Matin (sospeso nel 2004), racconta da Parigi gli ultimi sviluppi del sempre più precario stato delle libertà fondamentali in Algeria.

Cosa sta succedendo in Algeria dalla rielezione di Tebboune?

A fine dicembre, lo spirito dell’Hirak mai sopito si è manifestato con il lancio della campagna social #ManichRadhi (Non sono soddisfatto). Un semplice hashtag che ha irritato il regime per il contesto – poiché in quel periodo stava crollando il regime siriano, alleato del regime algerino – e per l’audacia e l’insolenza di coloro che lo hanno creato e diffuso, che si sono filmati a volto scoperto, dichiarando apertamente la wilaya (provincia) di residenza.

È stata una forma di sfida che ha abbattuto il muro di paura imposto dal clima di terrore creato dal regime. Che a sua volta ha reagito rapidamente, mobilitando i suoi alleati, i media, i sostenitori e i fedelissimi, tentando una distrazione attraverso l’hashtag #Nhabbladi (Amo il mio paese) e accusando i contestatori di essere al servizio di potenze straniere.

Ci sono stati una trentina di arresti documentati, con 25 persone poste in detenzione preventiva e 5 sotto controllo giudiziario.

Mohamed Tadjadit era tra coloro che hanno ricevuto la grazia presidenziale a novembre. Oggi è nuovamente in carcere. Cos’è accaduto?

Mohamed Tadjadit è stato arrestato nell’ondata di repressioni scatenata contro gli iniziatori della campagna #ManichRadhi. È stato anche bersaglio di minacce di morte e tortura su TikTok da parte del cosiddetto influencer Boualem Naman, noto come “Doualemn” (sostenitore di Tebboune, ndr), residente in Francia.

Quest’ultimo è stato arrestato dalle autorità francesi ed espulso verso Algeri, ma le autorità algerine gli hanno negato l’ingresso rispedendolo in Francia. Da allora, Naman si trova in detenzione amministrativa a Parigi in attesa di processo. Questa vicenda è parte degli intrecci diplomatici tra Algeria e Francia.

Le autorità algerine si sono trovate di fronte al dilemma tra incarcerare e processare Naman per minacce di morte – contrariando così i suoi stessi sostenitori -, oppure lasciare impunito un reato grave. Per defilarsi, ha scelto di rimandarlo a Parigi.

In tale contesto s’inserisce l’arresto di Tadjadit: solo dopo 48 ore si è saputo dove fosse trattenuto in custodia cautelare. Senza informare né la sua famiglia né i suoi avvocati, è stato poi presentato al tribunale di Rouiba, a 30 chilometri da Algeri, dove si è deciso di procedere con un processo immediato.

Alla fine, Tadjadit è stato condannato a 5 anni. Gli è stata imputata l’ideazione della campagna social prima citata e di averla resa visibile a livello internazionale. È stato inoltre interrogato per le sue pubblicazioni a sostegno di Abla Kemari, una detenuta condannata a 3 anni di carcere.

Poi ci sono Merzoug Touati, Fethi Ghares, Messaouda Cheballah Seffah, ripetutamente vessati dal regime in questi anni…

Merzoug Touati è stato condannato a 2 anni di carcere. È stato torturato durante la custodia cautelare e ha presentato una denuncia documentata, poi archiviata. Dopo aver esaurito tutti i ricorsi interni, a livello nazionale, ha deciso di rivolgersi alle istanze internazionali, tra cui il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite, la cui competenza è riconosciuta dall’Algeria.

La tortura è una pratica comune durante le custodie cautelari e nei casi di sparizioni forzate. Lo stesso vale per gli arresti effettuati senza il controllo della procura, come nel caso del giornalista Abdelwakil Blam. In questi casi, l’arresto è motivato solo in un secondo momento con l’esame del telefono dell’arrestato o estorcendogli confessioni sotto costrizione.

La repressione che attua il regime dimostra la sua debolezza. Credo sia ancora ossessionato dall’Hirak, che ha destabilizzato e diviso il sistema. Dunque, gli resta solo la repressione e il continuo ricorso alla gestione securitaria della società. Ma fino a quando?

Bisogna liberare i detenuti d’opinione al fine di sbloccare forze per il cambiamento. Continuando così, il regime imploderà. Abbiamo visto il caso del regime siriano: persino i suoi principali alleati si sono tirati indietro alla sua caduta.

Come ha reagito il pouvoir alla proposta di risoluzione per la liberazione di Boualem Sansal, Mohamed Tadjadit e Abdelwakil Blam?

Sulla proposta di risoluzione, non c’è ancora stata una reazione ufficiale, ma il regime ha mobilitato i suoi alleati tra i cosiddetti partiti politici e i suoi media per gridare all’ingerenza. Inoltre, i sostenitori del regime hanno sviluppato un discorso basato sui presunti legami forti tra il governo algerino e la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni.

Non considerando che i membri del suo partito al parlamento europeo (Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei – ECR, ndr) hanno votato all’unanimità la proposta di risoluzione. Intanto, il regime algerino attacca l’estrema destra francese, sebbene applichi la stessa logica repressiva nella gestione del paese.

Ad ogni modo, il caso di Sansal non è isolato: diversi algerini e franco-algerini sono stati arrestati in circostanze simili, se non peggiori, come Djamila Bentouis, che era stata graziata il 1° novembre 2024.

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