
Le donne e la loro voglia di cambiamento, una voglia che non nasce da oggi e che, come sempre accade alla storia femminile, viene estromessa, taciuta da chi racconta la Storia. Cosa ancor più vera in contesti storici, come quelli africani, di cui di per sé si sa poco e si studia ancora meno, a partire dalla scuola. Perché già poco e male si conosce la storia propria, immaginiamoci quella degli altri, se non occidentali poi.
L’unica, per sigillo ministeriale, capace di poter apportare valore, perché «solo l’Occidente conosce la storia; le altre culture, civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia».Ed ecco, in questa estromissione, arrivare il libro di Antonella Sinopoli, che restituisce capitoli di storia femminile in un contesto per altro prettamente maschile, come quello della guerra e dei colpi di stato. Un filone, questo del ruolo delle donne africane nel presente e passato che, col tempo, grazie soprattutto alla letteratura degli studi di genere e a qualche romanzo, viene intrapreso da studiosi e studiose.
Un filone che, con questo libro, Sinopoli si prefigge di far uscire dalle nicchie accademiche con l’obiettivo di rendere fruibili alcune storie, per lei esemplificative di un protagonismo spesso sconosciuto. Come quello, a esempio, delle donne che hanno sfidato il potere coloniale: la regina Nzinga, che regnava nel nord dell’Angola e che si oppose ai portoghesi, dichiarando loro una lunga guerra o la certo più famosa imperatrice etiopica Taytu Betul, che giocò un ruolo decisivo in quella storica battaglia di Adua del 1896 in cui gli italiani subirono una sonora sconfitta. A quella battaglia parteciparono, accanto agli uomini, migliaia di donne guidate dall’imperatrice, a capo di un contingente militare che affiancava quello del marito.
Donne che ebbero un ruolo importante nel cammino dell’indipendenza dei loro paesi, come Andrée Blouin, “la donna pericolosa d’Africa”, consigliera di diversi leader di neonate nazioni, dal Ghana alla Guinea, fino al Congo, che tenne testa a inglesi, francesi e belgi. Donne, le Black sisters di questa parte di Africa subsahariana, che intrecciano le maglie delle loro storie personali con quelle degli stati in cui si scrivono accordi e trattati di pace.
Protagoniste di quei processi di riconciliazione da sempre difficili da portare a termine in un mondo maschile che misura la sua forza in colpi di stato che rovesciano poteri, lasciando dietro di sé migliaia di vittime. E a pagare il tributo più grande di queste lotte armate spesso è proprio la popolazione femminile, che perde diritti, sicurezze, soprattutto quando a vincere è il terrore dei terrorismi.
E allora il loro protagonismo storico spesso viene dimenticato, e la loro rappresentanza politica procede tra passi in avanti e passi indietro. Nonostante l’impagabile presenza nelle missioni di pace. Un capitolo sempre aperto, che necessita di esser scritto dalle mani di quelle Black sisters che da secoli hanno mostrato che si può fare, in modo differente.