
Sono i “Black Wagner”, obbligati a combattere una guerra che non è la loro. Centinaia di uomini africani che sono stati reclutati dall’esercito russo per combattere contro l’Ucraina. Alcuni l’hanno scelto volontariamente, altri sono stati manipolati e assoldati con la forza.
La notizia sta circolando già da mesi e oggi è un’inchiesta di France 24 a tornare su questa storia. Questa volta con video e testimonianze. Le testimonianze sono quelle raccolte dal team di giornalisti investigativi che ha parlato con parenti che da tempo non hanno più notizie dei loro familiari.
Giovani partiti con l’obiettivo di migliorare la propria esistenza grazie alla promessa di un impiego fisso e ben pagato nel settore sicurezza, un posto non ben specificato ma che poi si è rivelato essere il fronte di battaglia.
Giovani che hanno firmato un contratto di lavoro, ma in una lingua che non conoscevano. Si sono resi conto solo in seguito di essere stati reclutati. Reclutamento forzato. Una paga, è stato riferito, di oltre 2mila euro mensili a cui però ora rinuncerebbero volentieri.
L’unica cosa che la maggior parte di loro vuole è tornare a casa. Soprattutto perché nessuno è stato addestrato per una guerra. Ma oltre a trovarsi in un luogo che non conoscono sono anche senza passaporto. Il documento è stato loro confiscato. Mentre ad altri è stato promesso il passaporto russo al momento dell’ingaggio.
Altre testimonianze sono ancora più dirette, registrazioni fatte di propria iniziativa con il telefonino e poi inviate a casa o sollecitate dai soldati ucraini che hanno fatto prigionieri anche tra le fila dei soldati africani. Mercenari, dopotutto, alla stregua di molti altri. Volenti o nolenti.
Impossibile conoscerne il numero esatto, ma si tratta di centinaia. Così pure è impossibile sapere quanti sono rimasti uccisi in battaglia o quanti siano prigionieri e bloccati in prima linea tra Russia e Ucraina, sperando di essere rimpatriati dai loro paesi.
Il team investigativo ha lavorato in Senegal, Ghana e Camerun ma dalle indagini risulta che i “Black Wagner” provengono anche da altri paesi: Repubblica Centrafricana, Nigeria, Zambia.
Secondo il ministero degli Interni russo all’inizio del 2024 si contava un totale di 3.344 cittadini stranieri andati a combattere in Ucraina che avevano ottenuto la cittadinanza russa.
Mentre The Insider stima che circa 2mila cittadini provenienti da oltre 50 paesi abbiano combattuto nella regione del Donbass, di cui il 75% a sostegno della Russia. Ma i sistemi utilizzati per incrementare lo sforzo bellico prendono di mira anche le ragazze, persino giovanissime.
Schiavizzate in una fabbrica di droni
Tra questi il programma Alabuga start. Il programma di reclutamento opera in una ventina di paesi africani e consiste nell’offrire opportunità di lavoro e training pagato a studentesse africane. Tutto spesato: biglietto, aereo, alloggio, corsi professionali. Le giovani che stanno aderendo sono veramente tante.
Vengono mandate in una zona industriale remota dove finiscono per lavorare per la Albatross LLC che, tra le altre cose, produce droni militari. Pare che le ragazze, giovanissime, vengono impegnate ad assemblare tali strumenti di guerra.
Solo in questi primi mesi del 2025 le studentesse reclutate per questo lavoro sarebbero 8mila. Le promesse sono sempre le stesse: un lavoro sicuro, una vita migliore, un passaporto russo.
Non serve neanche attirarle in modo fraudolento, spesso sono le ragazze stesse a chiedere di far parte del programma dopo aver sentito altre parlarne. In molti casi il reclutamento è avvenuto grazie ad una vera e propria campagna fatta sui social media.
L’allarme era stato lanciato ad ottobre dello scorso anno dall’Associated Press. Allora, circa 200 donne africane erano impiegate nella fabbrica nella Zona Economica Speciale di Alabuga, nella Repubblica di Tatarstan, dove lavoravano a fianco di studenti russi (alcuni di appena 15 anni) in un’officina di armi.
Spesso le donne – è stato detto – non sapevano che avrebbero prodotto armi fino al loro arrivo. Secondo quanto riportato, in fabbrica le donne hanno subito violazioni dei diritti dei lavoratori: lunghi orari di lavoro, sorveglianza, salari inferiori a quelli promessi, difficoltà a lasciare la fabbrica, restrizioni nel parlare con i media o con altri “esterni” della loro occupazione, violazioni delle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro, incluso il lavoro con sostanze chimiche che danneggiano la pelle.
L’Associated Press ha anche analizzato “centinaia di video” del programma di reclutamento online. Una campagna, come dicevamo, condotta sui social media, tra cui Tik Tok, Facebook (quindi Meta) e Telegram, attraverso video e l’assunzione di influencer. Una campagna che violerebbe le linee guida delle community.
È quanto ha fatto notare AP alle stesse aziende chiedendo se fosse il caso di rimuovere tale “pubblicità” che appare fraudolenta e che, considerata l’esperienza di chi è già in Russia, implica lo sfruttamento. Non tutte le aziende hanno risposto.
Uganda, Rwanda, Kenya, Sud Sudan, Sierra Leone, Nigeria: sono alcuni dei paesi da cui le ragazze hanno invece risposto all’appello. Chissà se quelle partite torneranno mai a casa.