Burkina Faso: giustizia è resa a Thomas Sankara - Nigrizia
Burkina Faso Politica e Società
Ergastolo all’ex presidente Blaise Compaoré
Burkina Faso: giustizia è resa a Thomas Sankara
Dopo 25 anni di battaglia giudiziaria, il verdetto del processo sull’assassinio, il 15 ottobre 1987, del padre della rivoluzione burkinabè. Rivisitiamo quegli anni
08 Aprile 2022
Articolo di Aurelio Boscaini
Tempo di lettura 9 minuti
Thomas Sankara (a sinistra) e Blaise Compaoré

Un verdetto storico per l’Africa: 35 anni dopo i fatti, il 6 aprile l’ex presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré, è stato condannato in contumacia all’ergastolo dal tribunale militare di Ouagadougou per l’assassinio, nel 1987, del suo predecessore Thomas Sankara. Compaoré, 70 anni, è in esilio in Costa d’Avorio (dove le forze francesi lo avevano evacuato), paese di cui ha ottenuto la nazionalità (la moglie è ivoriana) e dove era fuggito dopo le dimissioni a cui era stato costretto dalle manifestazioni di massa nel 2014.

Il verdetto arriva dopo 25 anni di battaglia giudiziaria, l’audizione di più di 110 testimoni e 6 mesi di udienze. Il tribunale ha condannato all’ergastolo anche il comandante della guardia di Compaoré, Hyacinthe Kafando (in fuga dal 2016), e il generale Gilbert Diendéré, uno dei capi dell’esercito nel putsch del 1987, allora responsabile della sicurezza del Conseil de l’entente, e che è già stato condannato a 20 anni di prigione per un tentato colpo di stato nel 2015. I giudici sono andati oltre le richieste del pubblico ministero militare che si era limitato a chiedere 30 anni di prigione per Compaoré e Kafando e 20 per Diendéré.

I tre uomini sono condannati per «attentato alla sicurezza dello stato». Compaoré e Diendéré sono inoltre riconosciuti colpevoli di «complicità nell’assassinio» e Hyacinthe Kafando, sospettato di aver guidato il commando che ha ucciso Thomas Sankara, di «assassinio». Otto altri accusati sono stati condannati a pene che vanno dai 3 ai 20 anni di carcere. Tre gli accusati prosciolti.

Nessuno degli accusati, va notato, ha confessato o ha espresso pentimento, solidali forse con i due grandi assenti… in particolare Compaoré che ha sempre respinto l’accusa di aver ucciso il suo ex compagno d’armi e amico. I “colpevoli” hanno 15 giorni per fare appello.

Complotto

Al processo, iniziato l’11 ottobre dello scorso anno, ci sono state importanti rivelazioni. Gli ex collaboratori di Sankara hanno tolto il velo sui rapporti piuttosto tesi tra Compaoré e il suo amico Thomas, e sull’esistenza di un «complotto internazionale» organizzato contro un leader progressista che solo intendeva rovesciare l’ordine delle cose e sradicare la povertà nel suo paese. «Il dramma del 15 ottobre 1987 è il risultato della pressione esercitata da alcuni capi di stato come Félix Houphouët-Boigny della Costa d’Avorio», ha testimoniato Abdoul Salam Kaboré, ministro dello sport di Sankara.

Ascoltato in videoconferenza dalla Francia, l’ex potenza coloniale in Burkina, Moussa Diallo, assistente militare del presidente assassinato, assicura che gli avvenimenti dell’ottobre 1987 «sono stati premeditati» e che il presidente Houphouët-Boigny, grande amico della Francia, era «il cuore del complotto». «Devi cambiare – aveva detto Houphouët Boigny a Thomas Sankara ‒. Se non cambi, ci pensiamo noi a cambiarti», ha da parte sua testimoniato Serge Théophile Balima, ex direttore della televisione burkinabè.

«Blaise Compaoré voleva il potere. È la creazione del partito unico che ha messo fuoco alle polveri», perché Compaoré «non voleva l’unificazione delle organizzazioni del Comitato nazionale della rivoluzione (Cnr)» che dirigeva allora il paese, ha dichiarato durante l’inchiesta Valère Somé, politologo burkinabè la cui deposizione è stata letta al processo.

Secondo Blaise Sanou, un comandante militare, «il potere-dipendente era Blaise Compaoré». Era assetato di potere, di quella stessa sete che, presidente, lo aveva spinto a voler modificare la Costituzione dopo 27 anni di regno, provocando la sua stessa caduta nel 2014.

La tomba di Thomas Sankara nel cimitero di Ouagadougou

Il processo

Il processo non si era evidentemente potuto aprire sotto il regno di Compaoré (1987-2014). Eppure, già nel 1997, dieci anni dopo la scomparsa del marito, la vedova Mariam Sankara (la resilienza delle donne!) aveva presentato «denuncia contro X per assassinio e dichiarazione di falso amministrativo», dichiarata però inammissibile dall’Alta corte di Ouagadougou. Nel giugno 2015 Mariam aveva poi invitato i parlamentari francesi ad aprire un’inchiesta sul ruolo che ebbero le autorità di Parigi nella morte di suo marito.

Il processo ha conosciuto anche dei sobbalzi. È stato interrotto a diverse riprese: una prima volta all’indomani del putsch del 24 gennaio scorso del tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba che ha rovesciato il presidente Roch Marc Christian Kaboré; poi il 31 gennaio, «fino al ripristino della Costituzione», sospesa in occasione del colpo di stato e poi ripristinata dalla giunta al potere, permettendo così che il processo riprendesse.

Altre interruzioni erano intervenute a seguito del giuramento di Damiba davanti al Consiglio costituzionale, il 16 febbraio. La difesa aveva allora presentato una richiesta sottolineando che si reclamavano condanne per «attentato alla sicurezza dello stato» proprio mentre il putsch del tenente colonnello Damiba, convalidato dal Consiglio costituzionale, costituiva in sé stesso un «attentato alla sicurezza dello stato». Ciò «consacra la presa di potere con la forza come un modo costituzionale di passaggio dei poteri», avevano sostenuto gli avvocati della difesa. Argomento «non fondato», e quindi respinto dal Consiglio costituzionale. E il processo riprendeva.

Alla proclamazione del verdetto, una soddisfatta Mariam Sankara ‒ icona panafricana, emblematica e sempre tanto popolare ‒, presente a quasi tutto il lungo processo, ha affermato: «Il giudice ha emesso il verdetto. È secondo la legge e così tutti apprezzano. È quanto chiedevamo, solo questo, giustizia e verità». E ha aggiunto: «Il nostro scopo è porre fine alle violenze politiche che ci sono state in Burkina. Questo verdetto farà riflettere tanti».

Anche l’avvocato della famiglia Sankara, Guy Hervé Kam, non ha nascosto la sua soddisfazione. «La nostra speranza è che questo genere di crimini atroci non si ripeta mai più in Burkina né altrove in Africa», si è augurato Prosper Farama, altro avvocato dei Sankara.

Ora bisognerà fare pressione sul presidente Ouattara della Costa d’Avorio perché accetti di estradare il suo protetto verso il Burkina, cosa per nulla scontata, visto che il presidente ivoriano si è sempre rifiutato alle richieste dei giudici di Ouagadougou. Dal dicembre 2015, comunque, Compaoré è colpito da un mandato di arresto internazionale. Il suo avvocato ci tiene a dire che il suo assistito gode «dell’immunità in quanto ex capo di stato». Può far sorridere pensare che quando la Costa d’Avorio si dibatteva nella violenza a seguito delle elezioni nel 2010, Comaporé era il facilitatore nel processo di pace…

Sankara all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il 6 ottobre 1984

La figura

Nato il 21 dicembre 1949 a Yako (nel nord), Thomas Sankara, è cresciuto in una famiglia cristiana il cui papà era un ex combattente. Dopo la maturità ottenuta a Ouagadougou, segue una formazione militare all’estero, in particolare a Antsirabé in Madagascar dove nel 1972 assiste all’insurrezione che rovescia il presidente Philibert Tsiranana, considerato “venduto” alla Francia, l’ex potenza coloniale.

Rientrato in patria nel 1973, che allora si chiamava Alto Volta, Sankara è addetto alla formazione delle giovani reclute. Si fa notare in occasione di un conflitto con il confinante Mali, nel 1974-1975. Dopo un colpo di stato nel novembre 1980, il nuovo presidente, il colonnello Saye Zerbo, gli affida il posto di segretario di stato all’informazione. Le sue idee progressiste però lo portano a sbattere la porta del governo un anno e mezzo dopo.

Ritorna in gioco grazie a un ennesimo colpo di stato, e nel gennaio 1983 è nominato primo ministro di Jean Baptiste Ouédraogo. Ma scoppia ben presto tra i militari una sorda lotta per il potere. Arrestato nel maggio di quell’anno, Sankara riemerge in agosto, questa volta per davvero, in seguito a un ulteriore colpo di stato guidato dal suo intimo amico, il capitano Blaise Compaoré, e a una insurrezione popolare. A 33 anni, il presidente Sankara è l’idolo dei giovani africani e campione dell’integrità. L’anno dopo, l’Alto Volta diventa Burkina Faso, il «paese degli uomini onesti».

Dall’andatura sportiva e slanciata, sorridente e charmeur, il giovane presidente veste sempre la tenuta militare, una pistola alla cintura bordata in madreperla che gli è stata donata dal dirigente nordcoreano Kim Il-sung. Adotta uno stile di vita sobrio: con la moglie e i due figli vive in un palazzo presidenziale fatiscente, e non possiede di suo che la chitarra e una Renault 5 di seconda mano, piccola vettura che impone come macchina di servizio a tutti i membri del suo governo abituati invece a lussuose berline.

Il programma politico

Le sue priorità: smagrire la funzione pubblica «pletorica», migliorare la situazione sanitaria, rompere l’isolamento delle campagne, e ancora: educazione, promozione della donna, politica in favore degli agricoltori. Sankara sempre più padre della rivoluzione burkinabè. Con mano di ferro porta avanti una politica volontarista. Non si accontenta di annunci, agisce, decide.

Il suo parlare rompe con il linguaggio astratto dei proclami. «Bisogna decolonizzare le mentalità», grida. La popolazione è sorvegliata dai Comitati di difesa della rivoluzione (Cdr) e sanzionata dai Tribunali popolari della rivoluzione (Tpr). Tronca uno sciopero del potente sindacato degli insegnanti licenziandoli, e reprime l’opposizione sindacale e politica.

I suoi rapporti con l’ex potenza coloniale francese e diversi paesi vicini tra cui la Costa d’Avorio di Félix Houphouët-Boigny e il Togo di Gnassingbe Eyadema, due grandi «amici» della Francia, si fanno sempre più tesi.

Le sue prese di posizione, i suoi legami con la Libia di Muammar Gheddafi e il Ghana di Jerry Rawlings preoccupano e inquietano. Al presidente francese François Mitterrand che aveva accolto ufficialmente a Parigi il ribelle angolano Jonas Savimbi e il presidente del regime dell’apartheid sudafricano Pieter Botha, dà una lezione di diritti dell’uomo, in occasione di una sua visita a Ouagadougou nel 1986. «Va più lontano del necessario, a mio parere», aveva ribattuto uno stizzito Mitterrand. E ancora: lancia un appello all’Africa perché rifiuti di rimborsare il suo debito ai paesi occidentali. Di fronte all’Onu denuncia le guerre «imperialiste», l’apartheid, la povertà, difende il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione. Ce n’era ormai abbastanza…

Il 15 ottobre 1987, mentre si reca a un consiglio dei ministri straordinario, Sankara viene assassinato con altri 12 compagni, in circostanze mai chiarite, di fronte alla sede del suo Consiglio rivoluzionario in un putsch che lascia Blaise Compaoré solo al potere. Colui che ancora oggi è chiamato il “Che” dell’Africa aveva solo 37 anni. La sua “parentesi” non era durata che 4 anni. Abbastanza, però, per lasciare un segno indelebile.

 

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