Banche armate, una cuccagna
Banche armate
Banche armate, una cuccagna
12 Marzo 2014
Campagna a cura di Giorgio Beretta, coordinatore della Campagna di pressione alla “banche armate”
Tempo di lettura 4 minuti

Rapporto 2006 della Presidenza del Consiglio

È la cifra record dell’ultimo ventennio: una festa per l’industria armiera nazionale trainata da Finmeccanica e non pochi grattacapi per il governo Prodi che nel suo programma si era impegnato ad un controllo più stringente sull’esportazione delle armi. Nel Rapporto al parlamento, reso noto in questi giorni, superano infatti i 2,1 miliardi di euro le autorizzazioni all’export di armamenti nel 2006 con un’impennata del 61% rispetto al 2005. E sfiorano il miliardo di euro (970 milioni) le consegne effettuate nel 2006.

 

Ma brindano anche le banche che, lo scorso anno, si sono viste autorizzare operazioni di incassi relativi al solo export di armi per quasi 1,5 miliardi di euro – altra cifra record dell’ultimo ventennio – con relativi compensi di intermediazione per oltre 32,6 milioni di euro. E il gruppo San Paolo Imi, nonostante la dichiarata policy restrittiva, è per il secondo anno consecutivo in testa alla classifica delle “banche armate”.

 

Non sono tranquillizzanti nemmeno i destinatari delle esportazioni. Al primo posto, dopo anni di stasi, ritornano gli Stati Uniti: oltre alla flotta di elicotteri presidenziali dell’Agusta (sulla quale è in corso un’inchiesta nei confronti dell’ex deputato repubblicano Curt Weldon, il principale sponsor politico dell’operazione), gli Usa acquistano dall’Italia bombe, siluri, razzi, missili e accessori, navi da guerra, esplosivi militari e armi automatiche per un totale di 349,6 milioni di euro.

 

Al secondo posto troviamo gli Emirati Arabi Uniti, che i rapporti Human Right Watch indicano come paese dove i diritti umani sono sistematicamente calpestati. È stata autorizzata la vendita di armi e sistemi d’arma per 338,2 milioni di euro.

 

Se è vero che la destinazione principale degli armamenti made in Italy sono paesi Ue e Nato (63,7%), non va dimenticato che oltre il 20% dei nostri sistemi d’arma finisce in aree calde come il Medio Oriente e l’Africa settentrionale per un valore complessivo di 442,8 milioni di euro. La Nigeria poi, per venire all’Africa subsahariana, riceve armi per 74,4 milioni di euro, raddoppiando il valore del 2005.

 

Anche se il Rapporto parla di «forte rallentamento» delle autorizzazioni verso i paesi asiatici, ricevono consegne notevoli l’India (66,3 milioni di euro), la Malesia (51,4), il Pakistan (39,7), Singapore (29,1). Sono della partita anche Perù (26,8 milioni di euro), Venezuela (16,1) e Libia (14,9).

 

Veniamo alle banche. San Paolo Imi è ancora la reginetta delle “banche armate”, triplicando quasi il valore: dai 164 milioni di euro nel 2005 ai 446 milioni nel 2006. L’istituto di credito torinese convoglia a sé quasi il 30% di tutte le operazioni di incassi e pagamenti dell’export di armi. Segue Bnp-Paribas, che controlla l’italiana Bnl: con 290,5 milioni di euro è la prima banca estera, operante in Italia, attiva nel settore. Al terzo posto ecco Unicredit: nel 2001 aveva dichiarato di voler cessare questo tipo di operazioni, ma da due anni a questa parte ricompare con quote rilevanti nella lista 86,7 milioni di euro nel 2006). Eccoci poi con la Banca Nazionale del Lavoro che ha accresciuto del 33% il proprio giro d’affari rispetto al 2005, portandolo ad oltre 80,3 milioni.

Se risultano in calo le operazioni della Deutsche Bank (78,3 milioni), crescono quelle della Commerz Bank (74,3 milioni) e torna alla grande il Banco di Brescia, vecchia conoscenza delle “banche armate”: riceve incassi per oltre 70 milioni.

 

La Banca popolare italiana passa da 14 a 60 milioni di euro e guida il gruppo degli istituti di credito sotto i sessanta milioni di euro di giro d’affari. In questa fascia preoccupa la ripresa delle operazioni di Banca Intesa: dai 163mila euro del 2005 ai 46 milioni del 2006. Da segnalare anche la presenza di Banca popolare di Milano (con 17 milioni di euro ha dimezzato l’impegno rispetto al 2005), al centro di un serrato dibattito insieme a Banca Etica, di cui è socia fondatrice e per la quale opera anche all’interno di Etica Sgr e della gestione fondi. A proposito di questa situazione abbiamo raccolto una dichiarazione di Fabio Salviato, presidente Banca Etica: «Vedo che ciò che il presidente di Bpm, Roberto Mazzotta , aveva affermato lo scorso febbraio corrisponde alle cifre riportate nella relazione. Dunque nel 2006 si registra un effettivo ridimensionamento delle attività relative all’appoggio ad aziende del settore armiero. E Bpm ha già annunciato un’ulteriore sensibile riduzione della propria attività tecnica nel 2007. Come abbiamo già avuto modo di ribadire, si tratta per noi di Banca Etica del primo passo di un percorso fondato sul dialogo con le realtà nostre socie. Un percorso che, oltre all’import-export di armi, deve comprendere l’insieme dei finanziamenti all’industria armiera e l’impatto sociale e ambientale associato a ogni finanziamento».

 

Il rapporto 2006 presenta anche una nota lieta: la drastica discesa – da 133 al 36 milioni di euro – delle autorizzazioni riferite a Banca di Roma. Un segno, vogliamo augurarcelo, che la partecipazione ai convegni organizzati dalla campagna “banche armate” ha un effetto positivo sui vertici delle banche.

 

Pubblicato su Nigrizia.it il 5 Aprile 2007

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