Sponsor impresentabile
Banche armate
Sponsor impresentabile
Banca di Roma e giornata mondiale della gioventù (GMG).
12 Marzo 2014
Campagna a cura di Raffaello Zordan
Tempo di lettura 6 minuti

Banca di Roma e giornata mondiale della gioventù (GMG).

E' polemica aperta tra la campagna e il Comitato che ha raccolto i soldi per la GMG di Colonia. Anche i papaboys s'inquietano.

La campagna “banche armate” compie sei anni. Ha catturato l’attenzione dell’opinione pubblica e ha fatto breccia nella proverbiale riservatezza del mondo finanziario. Fondamentalmente per due ragioni: ha chiesto con fermezza alle banche maggiore trasparenza e assunzione di responsabilità sul tema del commercio delle armi; ha sollecitato i cittadini, partendo da quelli che vanno a messa la domenica, a interrogarsi sulla gestione dei loro risparmi (o risp’armi?).

 

C’è anche una terza ragione: la campagna ha saputo comunicare.

I portatori sani di conto corrente si sono interrogati, si sono mossi, hanno cominciato a chiedere spiegazioni. Le banche, prima hanno fatto finta di niente, poi hanno dato risposte burocratiche, infine hanno ammesso che, sì, non era molto logico sfornare, per esempio, fondi “etici” a ripetizione e, contestualmente, appoggiare l’import-export, pur legale, di armamenti. Qualche istituto ha cominciato effettivamente a uscire dal settore armi (per primo Unicredit, seguito da Monte dei Paschi e Banca Intesa), qualcun altro lo ha annunciato.

 

La partita rimane aperta e la campagna è intenzionata a giocarla, sempre senza moralismi e con argomentazioni puntuali, monitorando le scelte degli istituti di credito e utilizzando le informazioni sul commercio delle armi e sui connessi movimenti finanziari che la legge 185 del 1990 mette a disposizione.

 

Nata alla vigilia del Giubileo del 2000 per iniziativa di tre riviste – Missione Oggi(Saveriani), Mosaico di Pace (Pax Christi), Nigrizia (Comboniani) –, la campagna “banche armate” aveva messo in conto di poter entrare in collisione con il mondo finanziario e armiero. Ma non immaginava che avrebbe dato fastidio anche a qualcuno nella chiesa.

 

Invece, è successo nella fase preparatoria della Giornata mondiale della gioventù (Colonia, 15-21 agosto). L’evento ha avuto tra gli sponsor la Banca di Roma del gruppo Capitalia, gruppo che risulta essere al primo posto, con 396 milioni di euro nel 2004, tra le banche che appoggiano l’esportazione di armi italiane (Nigrizia, 5/05, 25).

 

Con garbo, i direttori delle tre riviste titolari della campagna “banche armate” hanno chiesto se fosse proprio il caso di esporre nelle parrocchie e perfino nelle chiese uno striscione della Conferenza episcopale italiana che annunciava la Gmg, con tanto di logo della Banca di Roma.

 

Risposta piccata di Marcello Bedeschi, che si occupa dei soldi per organizzare la Gmg: Capitalia applica la legge e poi «ha stabilito di adottare nuovi e stringenti criteri di autolimitazione negli investimenti rivolti all’industria pesante»; quindi, la vostra è «un’azione denigratoria che colpisce il nostro operato, che genera confusione e crea disagio nella comunità ecclesiale».

 

Controrisposta della campagna. Sapevamo, e ci fa piacere, che Capitalia ha dichiarato, il 30 aprile 2005, di «escludere tassativamente qualunque forma di assistenza finanziaria ad attività che abbiano per destinatari paesi coinvolti in operazioni belliche o ricompresi in aree geopolitiche particolarmente instabili».

 

Il punto è che intorno a questa decisione non è possibile fare alcuna verifica e sarà possibile farlo solo a fine marzo 2006, quando la presidenza del consiglio pubblicherà la relazione riferita ai movimenti del 2005.

 

Nel frattempo, nella relazione sulle operazioni d’appoggio per l’anno 2004, risulta che Capitalia – specificamente, la Banca di Roma – ha operato con paesi verso i quali è in vigore l’embargo di armi da parte dell’Ue, come la Cina; paesi altamente indebitati che destinano ampie risorse alle spese militari, come India, Pakistan, Filippine, Cile e Messico; paesi dove le organizzazioni internazionali rilevano reiterate violazioni dei diritti umani (torture, detenzioni arbitrarie di prigionieri, limitazioni alle libertà sociali), come Egitto, Turchia, Malesia; paesi in conflitto o in zone di tensione, come Israele e Taiwan.

 

Rimanendo sempre disponibile al confronto, la campagna ribadisce l’inopportunità di legare il nome della Banca di Roma a quello della Gmg.

 

Pure la Nestlé

 

Intanto, scendono in campo anche i papaboys. Sul loro sito definiscono la sponsorizzazione «un episodio brutto, squallido, grave». E aggiungono. «Non è la prima volta che lo sponsor s’infila nelle chiese, insieme a preghiere e canzoni a marchio. Dobbiamo essere nel mondo, ma non del mondo… anche se non sempre ci riusciamo. Ma chi ce lo vorrebbe insegnare, se lo ricorda?». Forse i papaboys si riferivano alla Nestlé, sponsor del Giubileo del 2000.

 

La multinazionale non sembrerebbe troppo adatta a sostenere un evento spirituale. Da decenni è oggetto di un boicottaggio internazionale (www.ribn.itIo boicotto Nestlé, Altreconomia, Milano, 2005, a cura di Miriam Giovanzana e Davide Musso) per la sua politica di promozione del latte in polvere per neonati.

 

In violazione di un codice internazionale, il marketing della Nestlé induce le donne dei paesi poveri a usare il latte in polvere invece che allattare al seno, e questo provoca indirettamente (mancanza di acqua pulita, soldi insufficienti) la morte di migliaia di bambini.

 

Purtroppo (i papaboys se ne saranno accorti?), la Nestlé-Schöller era il fornitore esclusivo di gelati della Gmg di Colonia, e nel kit dato a tutti i partecipanti c’era una confezione di caffè solubile targata Nestlé.

 

Tornando a noi, il 25 luglio, si scomoda perfino la direzione generale di Capitalia. Con una lettera alle tre riviste e, per conoscenza, alla Cei, Luigi Vianello ritiene «infondata e lesiva dell’immagine del gruppo» la raffigurazione di Capitalia quale “banca armata”.

 

E porta come argomento il fatto che Capitalia «eroga servizi bancari esclusivamente per l’esportazione, verso paesi Ocse e Nato, di apparecchiature classificate ex lege come “armamenti”, ma che nulla hanno a che vedervi, non appartenendo a fattispecie offensive quali: sistemi radaristici, avionici, di telecomunicazioni, cantieristica navale e mezzi non armati per trasporto difesa di stati sovrani».

 

Increduli, ma pacati, i direttori di NigriziaMissione Oggi e Mosaico di Pace ribattono che «i sistemi radaristici, avionici, di telecomunicazioni sono a tutti gli effetti armamenti o, se si preferisce, tecnologie di rilevante interesse militare. E che queste tecnologie siano impiegabili sia in campo militare sia in campo civile aumenta la nostra preoccupazione, per il fatto che si tratta di tecnologie il cui reale impiego è facilmente occultabile».

 

E citano a sostegno della loro tesi la relazione dell’Associazione industrie per l’aerospazio, i sistemi e la difesa, nell’assemblea ordinaria del 24 giugno 2004, e un documento, del dicembre 2004, a cura del Centro militare di studi strategici di Roma, dal titolo Il controllo dei trasferimenti di equipaggiamenti e tecnologie di interesse militare in Italia.

 

Infine chiariscono: «La valenza offensiva o difensiva dipende dall’impiego di questi sistemi d’arma: questione che non può essere valutata da Capitalia, in quanto di volta in volta decisa dagli apparati politici e militari dei paesi cui le armi sono vendute».

 

Fine di questa puntata. La prossima sarà probabilmente in occasione del convegno che la campagna terrà a dicembre. Al quale dovrà essere invitato anche Walter Veltroni, sindaco di Roma e palesemente innamorato dell’Africa, che ha pensato bene di fare un accordo con Matteo Arpe, boss di Capitalia, per il lancio di una carta di credito etica.

 

Pubblicato su Nigrizia nel numero di Ottobre del 2005.

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