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Referendum 8 e 9 giugno i quesiti interconnessi nella vita quotidiana delle persone migranti e italiane
Cittadinanza e lavoro, diritti al voto
26 Maggio 2025
Articolo di Jessica Cugini
Tempo di lettura 5 minuti

Tempo di referendum a breve. Tempo di corse per spiegare l’importanza di quello che l’articolo 48 della nostra Costituzione definisce “dovere civico”, il voto, e del contenuto dei cinque quesiti referendari, quattro sul lavoro, uno sulla cittadinanza. Cinque quesiti strettamente connessi tra loro, come spesso sono i diritti che riguardano le persone tutte, in una comunità.

Connessi perché la precarietà, la ricattabilità, la mancanza di diritti nel mondo occupazionale, l’infortunio e la morte nel lavoro subappaltato riguardano in maniera massiccia le persone migranti presenti sul nostro territorio. Persone per le quali, proprio per questa intersezionalità dei diritti, viene meno il diritto alla cittadinanza.

Uno dei prerequisiti per poter far domanda di cittadinanza è infatti legato al reddito che deve essere pari, per tre anni consecutivi, antecedenti alla domanda, a 8.263 euro se la persona che fa richiesta è single, 11.362 euro se coniugata. Un parametro, questo della retribuzione continuativa, che deve essere stabile e costante sino alla conclusione del procedimento e che spesso viene a mancare a chi vede la propria storia occupazionale frammentata tra contratti a tempo se non irregolari.

Si comprende dunque il legame della cittadinanza con il licenziamento illegittimo e il diritto al reintegro al lavoro nelle aziende oltre 15 dipendenti (primo quesito) e con l’indennità giusta in caso di illegittimità di licenziamento in quelle realtà che hanno meno di 15 dipendenti e in Italia sono il 95% delle microimprese (secondo quesito).

Non di meno con l’assenza causale per fare contratti a tempo determinato per il primo anno, cioè la non specifica del perché ti devo assumere per un tempo così breve (terzo quesito). Non giustificare il ricorso alla precarietà, di fatto permette un utilizzo sistematico da parte delle aziende di tutta una serie di contratti a singhiozzo che tolgono possibilità alle vite.

E cosa siano i contratti a singhiozzo e soprattutto i subappalti è evidente in diversi settori. Uno fra tutti quello dell’edilizia, dove un operaio su 3, secondo l’ultimo rapporto Fillea Cgil, Costruzioni migranti, è di origine straniera, per lo più inquadrato come operaio comune. Persone cui spesso non viene fatta formazione sulla sicurezza e che proprio nei meandri del subappalto muoiono. Di quei tre morti sul lavoro al giorno, la maggior parte perde la vita in occupazioni in subappalto.

In questo caso il quarto quesito dei referendum chiede che la responsabilità in caso di infortuni a lavoratrici e lavoratori in subappalto sia anche della ditta committente. Un ampliamento della responsabilità di chi pensa, appaltando un lavoro a un’azienda terza, di potersi lavare in toto le mani.

Dimezzare i tempi da 10 anni a 5, come prima del 1992

Ma arrivando al quinto quesito, quello che prevede di dimezzare la durata di residenza regolare sul territorio da 10 a 5 anni, come d’altra parte era prima che entrasse in vigore la legge 91 del 1992, quante persone di origine straniera lungo soggiornanti riguarderebbe? Stando a quanto dichiarato dal Centro studi ricerche Idos, non 2,5 milioni come apparso su molti media a inizio campagna referendaria.

Ma 1 milione e 420 mila cittadini non comunitari, pari di fatto a poco più di una persona straniera ogni 4 regolarmente residente in Italia. Nel particolare sarebbero 1 milione e 136 mila persone adulte, titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata, e 284 mila minorenni (tra questi ricordiamo coloro che la acquisirebbero in quanto figlie e figli di genitori che acquisiscono cittadinanza).

Per tutte queste persone, è bene scriverlo, la cittadinanza non è regalo, i prerequisiti per far domanda rimangono con il referendum gli stessi, cioè la residenza stabile e continuativa, la conoscenza della lingua, la capacità contributiva e l’assenza di condanne penali. Si dimezza, mettendo allo stesso passo l’Italia con la maggior parte dei paesi europei, il requisito temporale dopo cui si può far domanda.

Perché far domanda e ottenerla sono due cose differenti. La domanda si può fare dopo 10 anni di residenza “regolare” e continuativa e avendo tutti i prerequisiti. Ma la domanda deve essere valutata, deve arrivare a responso, deve attendere una comunicazione via decreto.

Arrivato il decreto poi, la persona richiedente cittadinanza deve passare per l’amministrazione comunale che deve calendarizzarle una data di giuramento. Tutto questo, quando va bene, aggiunge ulteriori 3 anni a quei 10. Quindi di fatto potremmo dire che se al referendum vincerà il Sì, di fatto si passerà da 10 anni a 5 di residenza ma non di attesa reale.

Quante sono le cittadinanze?

A dare i numeri su quante siano le nuove cittadinanze è poi Fondazione ISMU, che sottolinea come, lo scorso anno, con un dato ancora di fatto provvisorio, le acquisizioni sono state 217.117. Un dato importante che, per il terzo anno consecutivo, vede superare le 200mila persone che hanno ricevuto, dopo lunga attesa, la cittadinanza italiana.

Stando ai dati Istat 2023, di cui vi è una maggiore analisi della composizione, nella maggior parte di casi (48%) si tratta di nuove e nuovi italiani che sono diventati tali perché almeno uno dei genitori è diventato italiano, oppure di neomaggiorenni che sono nati e vissuti in maniera continuativa in Italia e che al 18esimo anno hanno fatto richiesta, oppure ancora sono persone discendenti da cittadini italiani, che hanno ottenuto cittadinanza attraverso lo ius sanguinis.

A diventare cittadino o cittadina per residenza o naturalizzazione – i famosi 10 anni di residenza legale continuativa (che però ricordiamo sono 5 per i rifugiati e apolidi e 4 per i comunitari, che quindi non stanno dentro al famoso conteggio) –, nel 2023 è stato il 40% delle persone che avevano fatto richiesto cittadinanza. C’è poi un restante 12% che ha acquisito la cittadinanza per aver contratto matrimonio con cittadini italiani.

Il dato che dovrebbe colpire in un paese sempre più anziano è poi che si tratta di una popolazione particolarmente giovane: il 48% ha infatti meno di 30 anni. Tra questi, chi ha fino ai 20 anni di età rappresenta la quota maggiore, il 37%.

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