
Il Patto europeo sulla migrazione dovrebbe entrare in vigore dal 2026, intanto però, come si è fatto in Italia con il decreto sicurezza, si sceglie di fare un salto in avanti in barba ai tempi e alla sentenza della Corte europea cui non manca tanto tempo (fine maggio/giugno). La Commissione europea si porta avanti e propone la prima lista UE di paesi d’origine cosiddetti “sicuri”.
Sette gli stati: Bangladesh, India, Egitto, Tunisia, Marocco, Colombia e Kosovo. Un elenco che dovrebbe, secondo quanto detto dalla Commissione, garantire l’applicazione di questo concetto di sicurezza più uniforme tra i paesi membri nella disamina delle richieste di asilo.
Con una procedura per altro accelerata, che si basa sul fatto che, stando al bassissimo tasso di riconoscimento della loro domanda (sotto il 5%), le persone provenienti da questi stati hanno un’alta possibilità di vedere un rigetto della richiesta.
Ecco quindi che si fissa un termine: i 6 mesi normalmente previsti si ridurrebbero a 3. Una disamina mordi e fuggi dunque, che va a braccetto con l’intento di far aumentare il numero di rimpatri. Altro obiettivo europeo più volte dichiarato.
Lista obbligatoria ma…
La lista europea presentata in Commissione sarà obbligatoria per tutti gli stati membri, ma non unica di fatto. Visto che è prevista la validità delle liste nazionali che già ogni paese ha. L’intento è l’uniformità su questi 7, intanto.
Una volta approvata dal Consiglio di stato e dal Parlamento europeo, tutti saranno obbligati all’inclusione dei 7 nelle loro liste. Se invece si dovesse depennare uno di questi 7 dalla lista europea, lo stato membro che lo ha nella propria, potrà continuare a mantenerlo solo se la Commissione non si oppone.
Detto questo, rimane il dovere di valutare ogni domanda in maniera individuale. E questo apre il fianco a una grande polemica che invece si sta vivendo in Italia sul ruolo ultimo dei giudici rispetto alle persone richiedenti provenienti dai cosiddetti paesi sicuri.
Perché se è vero che sicuro potrà essere anche quello stato in cui ci sono parti del territorio o categorie di persone non sicure, rimane valida la necessità che chi deve dar risposta alla domanda d’asilo possa decidere entrando nel merito della singola storia che si trova davanti.
Paradosso Tunisia
Un esempio pratico e possibile: in un momento in cui in Tunisia (paese sicuro) le autorità utilizzano la detenzione arbitraria come strumento di repressione, incarcerando decine di dissidenti attraverso procedimenti giudiziari politicamente motivati per, come racconta Human Rights Watch, “intimidire, punire e mettere a tacere i suoi critici”, cosa si fa se arriva uno o una di questi contestatori?
“A gennaio 2025 – si legge nel comunicato –, oltre 50 persone erano detenute per motivi politici o per aver esercitato i propri diritti. Almeno 14 detenuti potrebbero rischiare la pena capitale se condannati”.
In questo “paese sicuro”, con cui l’Italia ha una stretta collaborazione, dal febbraio 2023 diverse persone sono state arrestate perché etichettate dal presidente Kais Saied come “terroriste”. Una formula decisa senza grandi processi né carte probatorie.
Ma la Tunisia, dopo la Libia è il secondo paese di partenza verso l’Italia. Tanto basta.