
Dallo scorso 13 giugno continuano i raid reciproci tra Israele e Iran. La guerra ha fatto sin qui centinaia di morti in Iran e alcune decine in Israele. Se l’obiettivo iniziale dell’esercito israeliano (IDF) era di colpire centrali nucleari, basi militari e missilistiche, con il passare dei giorni sembra sempre più probabile che il vero scopo degli attacchi sia un cambiamento di regime a Teheran.
Sarà centrale per il futuro del conflitto verificare se, dal sostegno indiretto, gli Stati Uniti di Donald Trump passeranno a un attacco diretto, e, in caso di cambiamento di regime, se la guerra sarà accompagnata da un sollevamento popolare contro gli ayatollah, sul modello del movimento “Donna, vita, libertà” del 2022.
Sarà poi molto importante valutare gli effetti devastanti che stanno avendo gli attacchi sulle infrastrutture del paese e sui civili. Lo shah, prima di lasciare l’Iran, in seguito alla rivoluzione del 1979, decise di non dare l’ordine di colpire i manifestanti per evitare uno spargimento di sangue che la guerra sta già comportando.
Le reazioni africane
Non si sono fatte attendere le dure reazioni dei paesi africani allo scoppio del conflitto. I ministri degli Esteri di numerosi paesi hanno espresso la loro condanna contro gli attacchi israeliani in Iran chiedendo il rispetto della sovranità nazionale iraniana e la soluzione delle controversie con metodi pacifici.
In particolare, con un comunicato congiunto, i ministri degli Esteri di Algeria, Ciad, Gambia, Sudan, Somalia, Libia, Egitto, Mauritania e altri paesi hanno condannato «i rapidi sviluppi regionali e l’escalation senza precedenti delle tensioni in Medioriente» conseguenti all’aggressione israeliana contro la Repubblica islamica.
Nella nota si legge che questi paesi «rifiutano e condannano» gli attacchi israeliani contro l’Iran così come tutte le pratiche che violano il diritto internazionale, i principi della Carta delle Nazioni Unite e ribadiscono «la necessità di rispettare la sovranità degli stati, l’integrità dei loro territori, i principi di buon vicinato e il regolamento pacifico dei conflitti».
Non solo, i ministri hanno espresso la loro «profonda inquietudine contro questa pericolosa escalation che minaccia la sicurezza e la stabilità di tutta la regione», sottolineando «la necessità di mettere fine alle azioni ostili dell’occupante israeliano contro l’Iran, in un momento in cui il Medioriente vive crescenti tensioni, aggiungendo l’importanza di ridurre le tensioni in vista di un cessate il fuoco».
I ministri africani e arabi che hanno firmato il comunicato hanno insistito anche sull’«importanza di fare del Medioriente una zona libera da armi nucleari e di distruzione di massa, in conformità con le risoluzioni internazionali, senza eccezioni» e hanno chiesto l’immediata adesione di tutti i paesi al Trattato di non proliferazione nucleare, che l’Iran ha firmato e Israele no.
Nella dichiarazione congiunta si sottolinea poi l’imperativo di non colpire le installazioni nucleari, controllate dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA), in conformità con le disposizioni del Consiglio di sicurezza ONU perché questo costituisce una «violazione del diritto internazionale umanitario secondo la Convenzione di Ginevra del 1949». La priorità dovrebbe essere «la necessità di tornare al processo negoziale appena possibile come sola via per arrivare a un accordo duraturo sul programma nucleare iraniano».
Il Mar Rosso e le vie marittime
Nella nota, i ministri hanno sottolineato anche «l’importanza del rispetto della libertà di navigazione lungo le vie marittime internazionali conformemente al diritto internazionale in vigore e di non mettere in pericolo la sicurezza marittima internazionale». Nella dichiarazione congiunta si legge che «la sola soluzione alle crisi regionali risiede nella diplomazia, nel dialogo e nel rispetto dei principi di buon vicinato, secondo il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite», aggiungendo che «qualsiasi soluzione militare non risolve la crisi attuale».
In merito al commercio marittimo, Iran e Israele si continuano ad accusare reciprocamente di mettere in pericolo con i loro raid reciproci le attività commerciali delle linee marittime nel Golfo Persico, nel Mar Rosso e nel Canale di Suez nelle riunioni delle commissioni dell’Agenzia marittima delle Nazioni Unite.
In particolare, in una riunione del Comitato di sicurezza dell’Organizzazione marittima internazionale, l’Iran ha accusato Israele di aver esteso i suoi “attacchi illegali” alle infrastrutture petrolchimiche e del gas a Asalouyeh nel Golfo. Dal canto suo, le autorità iraniane hanno minacciato la chiusura dello Stretto di Hormuz se il conflitto dovesse andare avanti e di colpire le navi di qualsiasi paese che dovesse contribuire ai raid israeliani. Questa iniziativa potrebbe produrre effetti devastanti sui traffici marittimi e un’ulteriore escalation del conflitto.
Effetti significativi sui traffici marittimi nel Mar Rosso continuano ad avere anche i raid delle milizie houthi in Yemen contro Israele nel contesto del conflitto a Gaza. Il gruppo armato yemenita fa parte del cosiddetto Asse della resistenza con Hamas, Hezbollah – indeboliti dagli attacchi israeliani dopo il 7 ottobre 2023 – e l’Iran. I quasi due anni di guerra hanno già prodotto una significativa diminuzione del commercio marittimo globale che passa attraverso il Mar Rosso e la deviazione dei traffici commerciali per migliaia di navi cargo.
Gli effetti sulla comunità sciita in Africa occidentale
La guerra tra Israele e Iran potrà avere effetti molto significativi sulle rimesse e gli aiuti finanziari per i movimenti sciiti nel mondo da parte delle non numerose ma ricche comunità sciite in Africa occidentale, dalla Costa d’Avorio alla Guinea e al Benin.
Gli sciiti in Africa, soprattutto libanesi emigrati sin dagli anni Ottanta, hanno gradualmente accresciuto il loro ruolo economico, con importanti rapporti commerciali legali e non con l’America latina, e politico. Questo è avvenuto per esempio con i finanziamenti pervenuti dall’Africa occidentale al movimento sciita libanese Hezbollah. Ma non solo, le comunità sciite in Africa occidentale hanno anche garantito il sostegno militare al Fronte Polisario che lotta per la liberazione del Sahara Occidentale dal Marocco, impegnato nella normalizzazione dei rapporti con Israele, al fianco di membri delle milizie iraniane al-Quds.
Tuttavia, questi flussi finanziari dall’Africa occidentale verso il Medioriente erano già in diminuzione prima dello scoppio della guerra tra Israele e Iran, in seguito all’inserimento nella lista dei gruppi terroristici da parte degli Stati Uniti del movimento sciita libanese, e a causa delle sanzioni imposte contro i pasdaran, rafforzate da Trump all’avvio del suo secondo mandato.
Una guerra per oscurare il genocidio a Gaza
Non solo, questi attacchi israeliani contro l’Iran sono arrivati nel momento di massima pressione contro il genocidio in corso a Gaza. È quindi chiaro che tra gli obiettivi israeliani ci sia anche quello di rivolgere l’attenzione mediatica altrove rispetto alla grave crisi umanitaria che affama i palestinesi della Striscia.
Così come le autorità israeliane hanno bloccato ed espulso i 12 componenti dell’equipaggio della Freedom Flotilla, inclusa l’attivista svedee Greta Thunberg, che tentavano di arrivare sulle coste di Gaza, le autorità egiziane hanno fermato, arrestato e deportato centinaia di attivisti della Global March to Gaza che avrebbe dovuto portare migliaia di persone da tutto il mondo fino al valico di Rafah nei prossimi giorni.
«Le autorità egiziane ci hanno bloccato a Ismailia sulla strada per Rafah», ha spiegato a Nigrizia uno degli organizzatori, Iasonas Apostopulos di Mediterranea Saving Humans. «Abbiamo protestato a Ismailia. La polizia ci ha disperso e ci ha fatto entrare con violenza in un furgone per riportarci al Cairo. Uno tra noi è stato deportato. Nei giorni seguenti abbiamo deciso di rinunciare alla nostra marcia pacifica», ha aggiunto l’attivista. «La polizia ha iniziato a essere violenta con i manifestanti», ha confermato alla nostra rivista anche l’avvocato egiziano per i diritti umani, Mahienour el-Masri.
Le autorità egiziane hanno accusato gli attivisti espulsi di non aver ottenuto le “autorizzazioni necessarie” per recarsi nel Nord del Sinai. «Molti tra gli arrestati preparavano la marcia da settimane e avevano i loro visti e documenti in regola per entrare in Egitto», ha spiegato invece l’avvocata el-Masri.
La guerra di Israele contro l’Iran ha effetti strategici, militari e politici molto significativi in Africa. Per esempio, potrebbe ridisegnare gli equilibri geopolitici in Libia e in molti altri paesi africani dove le comunità sciite hanno un importante peso economico. Non solo, il conflitto in corso potrebbe avere effetti di lungo periodo sui traffici marittimi in particolare nel Mar Rosso contribuendo ad aggravare la crisi economica in Egitto e in Sudan.
Più in generale, il conflitto in corso sta oscurando il genocidio a Gaza e le mobilitazioni internazionali organizzate in Nordafrica e in tutto il mondo per fermare lo stato di assedio in cui vive la Striscia.