In un’inversione di marcia che riflette le pressioni politiche e l’impatto crescente dei tifosi, il Bayern Monaco ha annunciato la ridefinizione del suo accordo con “Visit Rwanda”, il braccio commercial-turistico dello stato africano. Una svolta significativa, culminata nella trasformazione della partnership commerciale in un progetto esclusivamente dedicato alla formazione calcistica, attraverso l’ampliamento della propria accademia a Kigali.
Originariamente firmato nel 2023 come contratto quinquennale – con un valore stimato intorno ai 5 milioni di euro l’anno – l’accordo prevedeva la presenza del marchio “Visit Rwanda” sia negli stadi che in campagne promozionali globali. Da tempo, però, questa partnership era finita al centro delle polemiche.
Pressioni incrociate
A febbraio, la ministra degli Esteri della Repubblica democratica del Congo, Thérèse Kayikwamba Wagner, aveva denunciato pubblicamente i club coinvolti – Bayern, Arsenal, PSG e Atletico Madrid – chiedendo la fine degli “accordi di sponsorizzazione insanguinati” e puntando il dito contro il Rwanda per il sostegno ai ribelli dell’M23, un gruppo di etnia tutsi che ha conquistato ampie porzioni di territorio nell’est della Rd Congo, accusato di vari tipi di brutalità anche dalle Nazioni Unite.
La pressione, però, non si è limitata alle relazioni diplomatiche, ma è arrivata fino in campo. I tifosi del Bayern, notoriamente attivi e critici sulle questioni etiche, infatti, a febbraio hanno esposto uno striscione eloquente: “Visit Rwanda – Chiunque guardi con indifferenza tradisce i valori del Bayern!”
Talenti africani
Di fronte a queste sollecitazioni, e all’amplificarsi delle critiche da parte di ONG e media, il club ha optato per un maquillage strategico, evitando però di accusare apertamente Kigali su questioni di diritti umani.
Secondo il comunicato ufficiale, la nuova intesa con il Rwanda Development Board (RDB) durerà fino al 2028 e sarà interamente incentrata sullo sviluppo del talento africano, attraverso l’espansione dell’Academy di Kigali e la pianificazione di iniziative sociali mirate. “Ciò rimane perfettamente in linea con il nostro obiettivo strategico di sviluppare talenti calcistici in Africa”, ha spiegato Jan-Christian Dreesen, il CEO del Bayern.
Gli ha fatto eco, Jean-Guy Afrika, l’amministratore delegato di RDB, che ha tranquillizzato tutti, assicurando che il partner proseguirà la sua missione di investire su infrastrutture, scouting e formazione, rimanendo fedele alla visione di “posizionare il Rwanda come hub globale per turismo, investimento e sport”.
Da Kigali ad Abu Dhabi
Il timing non è casuale. La svolta del Bayern arriva in concomitanza con la firma di un nuovo accordo con Emirates, pochi giorni prima, in grado di compensare le perdite generate dal disimpegno commerciale con il Rwanda.
Il silenzio di PSG, Arsenal e Atletico Madrid
Il Bayern, comunque, è in buona compagnia. Anche altri club legati al Rwanda sono rimasti in silenzio sulle questioni sollevate da Kayikwamba Wagner: il PSG, per dire, ha rinnovato il suo accordo ad aprile e nello stesso mese l’Atletico Madrid ha firmato un accordo con “Visit Rwanda” come sponsor principale delle maglie delle squadre maschili e femminili.
Per non parlare dell’Arsenal, che nel maggio 2018 ha sottoscritto con il governo rwandese un accordo da 34 milioni di euro, sancendo il definitivo cambio di passo nella strategia di Kigali per sponsorizzazioni sportive. Un’operazione piuttosto remunerativa.
Centinaia di milioni incassati dal Rwanda
Secondo le società internazionali Nielsen, Blinkfire Analytics e l’agenzia di ricerca Hall and Partners, le partnership con Arsenal e PSG hanno attirato un milione di visitatori, generando un fatturato di 445 milioni di dollari (412 milioni di euro).
Non deve stupire, quindi, se ad oggi non risultano inversioni di rotta in questo senso da parte di PSG, Arsenal e Atletico Madrid, nonostante le pressioni crescenti dei tifosi, soprattutto quelli dei Gunners.
Il precedente bavarese
Resta da capire se la realpolitik abbracciata dal Bayern Monaco – con un cambio di paradigma che, se da un lato conserva la cooperazione con Kigali, dall’altro cerca di prenderne le distanze – diventerà un modello in grado di stimolare una riflessione e alla fine portare anche le altre big europee a seguire le orme dei bavaresi.