Da Gaza al Sudan, si espande la catastrofe alimentare - Nigrizia
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Milioni di persone a rischio carestia in 5 paesi. Conflitti e blocchi degli aiuti aggravano la crisi
Da Gaza al Sudan, si espande la catastrofe alimentare
La fame sta raggiungendo livelli allarmanti in diverse regioni, in particolare a Gaza, Sudan, Sud Sudan, Haiti e Mali, dove l'insicurezza alimentare è catastrofica. I conflitti armati e il blocco degli aiuti umanitari sono le cause principali. La comunità internazionale è chiamata a un'azione concertata e urgente per proteggere le distribuzioni e prevenire una situazione "distopica"
17 Giugno 2025
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti

In molte regioni dell’Africa subsahariana l’emergenza alimentare ha raggiunto dimensioni estremamente allarmanti.

L’ultimo rapporto Hunger Hotspots, pubblicato dalla FAO e dal Programma alimentare mondiale (PAM) e relativo al periodo da giugno a ottobre, segnala che a livello globale cinque paesi – Palestina (Gaza), Sudan, Sud Sudan, Haiti e Mali – si trovano al livello più alto di insicurezza alimentare (la fase IPC 5), che segnala condizioni catastrofiche in cui l’assenza di cibo e le morti correlate sono su larga scala e imminenti se non si interviene con urgenza.

In questi paesi la popolazione è già oggi a rischio di carestia o sta affrontando un’insicurezza alimentare acuta a causa dell’intensificarsi dei conflitti, degli shock economici e degli eventi climatici estremi.

Il rapporto segnala che i conflitti armati restano la principale causa di insicurezza alimentare acuta in 11 dei 13 “punti caldi” del pianeta.

Milioni di persone sull’orlo della carestia

In Sudan “si prevede che 24,6 milioni di persone, più della metà della popolazione, affronteranno livelli di fame pari a crisi o superiori (fase IPC 3+). Tra queste, 8 milioni di persone si trovano in situazione di emergenza (IPC 4) e 637mila in catastrofe (o carestia, IPC 5). La malnutrizione acuta grave è in aumento, con 772.200 bambini di età inferiore ai 5 anni che si prevede saranno colpiti nel 2025”.

È inoltre probabile, si legge ancora, “che l’intensificarsi del conflitto continui a causare carestia (IPC 5) e ad aumentare gli sfollamenti transfrontalieri”.

Anche in Palestina la probabilità di carestia sta aumentando “a causa del perdurare di operazioni militari su larga scala e della crescente assenza di piani adeguati per la distribuzione di cibo” nella Striscia di Gaza, mentre ad Haiti i livelli record di violenza tra bande e insicurezza “stanno costringendo a sfollamenti di massa e ostacolando le operazioni umanitarie, perpetuando una catastrofica insicurezza alimentare tra le popolazioni sfollate”.

Un peggioramento è previsto anche in Mali, a causa dell’impatto combinato dei conflitti, dei prezzi alimentari persistentemente elevati e dell’aumento del rischio di inondazioni. Il report prevede che circa 1,5 milioni di persone (il 6% della popolazione) dovranno affrontare livelli di insicurezza alimentare acuta pari a crisi o peggiori tra giugno e agosto. Con circa 1,6 milioni di bambini sotto i 5 anni che soffriranno di malnutrizione acuta e con alcune popolazioni del nord che saranno esposte a condizioni di catastrofe.

In Sud Sudan conflitti e crisi politico-economica porteranno circa 7,7 milioni di persone, ovvero il 57% della popolazione, ad affrontare una situazione di crisi o peggiore, incluse 2,5 milioni di persone in stato di emergenza e 63mila in quello di catastrofe, in particolare negli stati di Jonglei e Upper Nile, e tra i rimpatriati dal Sudan.

Altre zone ad alto rischio di fame sono la Nigeria, il Burkina Faso, il Ciad e la Somalia.

Restando in Africa, è stata reintrodotta nell’elenco dei focolai la Repubblica democratica del Congo, anche qui a causa dell’intensificarsi del conflitto nelle regioni orientali.

Dall’elenco sono stati invece rimossi il Niger e dieci paesi dell’Africa orientale e meridionale: Etiopia, Kenya, Libano, Lesotho, Malawi, Mozambico, Namibia, Niger, Zambia e Zimbabwe, dove “le migliori condizioni climatiche per i raccolti e la riduzione degli eventi meteorologici estremi hanno alleviato le pressioni sulla sicurezza alimentare”.

Caschi blu a protezione dei convogli umanitari

I dati fotografano dunque un continuo aggravarsi ed espandersi dell’emergenza alimentare, anche a causa delle sempre maggiori difficoltà delle agenzie umanitarie a far pervenire aiuti salvavita, in particolare in aree di conflitto, come la Striscia di Gaza e il Sudan, dove il blocco degli aiuti viene usato come arma di guerra.

Attacchi deliberati a convogli umanitari – come avvenuto di recente in Sudan – sono sempre più frequenti, tanto che di recente il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, Michael Fakhri, ha chiesto all’Assemblea generale dell’ONU di permettere che le forze di peacekeeping vengano utilizzate regolarmente per la protezione dei convogli.

Fakhri ha affermato che, a meno che non ci sia un intervento internazionale concertato per proteggere la distribuzione degli aiuti nel mondo, le organizzazioni umanitarie finirebbero per cessarne la distribuzione, creando così una situazione “distopica”.

Fame di grano

Eppure l’Africa subsahariana, insieme al Nordafrica e al Sud-est asiatico, si sta affermando come uno dei principali hub per il commercio globale di grano. Secondo l’ultimo rapporto del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (USDA), nella campagna di commercializzazione 2024/2025 le importazioni nella regione toccheranno un + 7%, superando per la prima volta la soglia dei 30 milioni di tonnellate.

I tre paesi – Nigeria, Kenya e Sudan – che insieme hanno coperto circa un terzo delle importazioni nella campagna precedente, pari a 11 milioni di tonnellate, sono seguiti a distanza da Sudafrica, Etiopia e Tanzania, con un volume complessivo inferiore a 5 milioni di tonnellate.  

Grano che arriva per lo più da Unione Europea e Russia, che insieme coprono il 70% delle forniture dell’Africa subsahariana. 

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