Debito: da Londra una proposta di legge che piace all’Africa
Economia Politica e Società
Il deputato laburista Charalambous propone di cambiare le regole sulla ristrutturazione, coinvolgendo di più i privati
Debito: da Londra una proposta di legge che piace all’Africa
La city della capitale britannica regola il 90% del fardello contratto dai paesi del continente
29 Aprile 2025
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 6 minuti
La City di Londra. (Crediti: Colin and Kim Hansen)

Un aiuto nella decennale lotta dei paesi dell’Africa contro la trappola del debito estero potrebbe provenire dalla Gran Bretagna. Londra è molto importante in questo senso perché una fetta enorme delle obbligazioni rilasciate dai governi e dalle aziende degli stati più poveri sui mercati dei capitali sono emesse nel Regno Unito: la legge inglese regola circa il 90% del debito che questi paesi contraggono con i creditori privati. Debito che è molto più gravoso di quello stipulato in forma bilaterale o con le organizzazioni finanziarie internazionali, in quanto legato alla speculazione finanziaria e concesso a tassi di interesse più elevati.

I destini del debito sovrano che attanaglia lo sviluppo dell’Africa possono passare per Londra anche in senso buono, però. Ne è convinto il deputato laburista Bambos Charalambous, che lo scorso novembre ha presentato una proposta di legge per riformare parte dei meccanismi di ristrutturazione del debito. Il politico britannico ha avanzato la sua proposta su iniziativa personale, senza cioè l’esplicito appoggio del partito. 

Sostegno alla bozza di provvedimento, al momento in fase di seconda lettura presso la Camera dei comuni, quindi all’inizio del suo iter, è arrivato però dall’Africa. I diplomatici nel Regno Unito di otto paesi del continente, fra i quali Zambia, Sudafrica, Malawi e Mozambico, hanno inviato una lettera al governo britannico chiedendo di supportare il disegno di legge. Negli stessi giorni anche decine di leader cristiani, soprattutto anglicani e protestanti, hanno chiesto all’esecutivo britannico di muoversi nella stessa direzione.

Un freno allo sviluppo 

La premessa è che il debito estero e il pagamento dei suoi interessi sono una tagliola attorno allo sviluppo dell’Africa. Più di un cittadino africano su due – oltre 750 milioni di persone – vive in paesi dove si spende più per ripagare il servizio del debito di quanto si faccia per settori chiave come sanità e istruzione.

Nel continente 26 paesi su 55 sono in stress debitorio o alto rischio di stress debitorio. Dal 2020 a oggi Zambia, Ghana ed Etiopia sono andati in default per non poter più pagare il loro debito. Questo fardello è cresciuto poi a una velocità quattro volte superiore a quella del Pil dal 2010 a oggi. Numeri, percentuali e tendenze che si traducono in sviluppo mancato e problemi nella vita di tutti i giorni: strade fatiscenti e non sicure, quartieri senza accesso alla rete fognaria, servizi sanitari scadenti o nulli, scuole che non hanno attrezzature.

Negli anni è cambiata poi anche la composizione del debito. Se a inizio anni 2000 i privati rappresentavano circa il 30% dei creditori, adesso sono il 44%.

La legge proposta da Charalambous promette di intervenire su alcuni passaggi nella ristrutturazione del debito, quel processo cioè che scatta quando un paese non è più in grado di pagare i soldi dovuti con la modalità vigente e si trova costretto a chiedere di cambiare tempi e condizioni al Fondo monetario internazionale (RFI).

Le due lettere a sostegno della legge 

Nella lettera a supporto della misura, di cui il quotidiano The Guardian ha pubblicato alcuni stralci, si afferma che «il 90% del debito dei paesi più poveri del mondo nei confronti dei creditori privati ​​è regolato dalla legge inglese e viene gestito tramite la City di Londra. Per questo motivo, qualsiasi risarcimento per indebito profitto concesso ai creditori privati ​​dipende dal governo» di Londra. 

Dati che tornano che nel messaggio dei leader delle chiese anglicane e protestanti. Quest’anno, in concomitanza con il Giubileo, diverse organizzazioni religiose di tutto il mondo stanno promuovendo iniziative per la cancellazione del debito e per una riforma dell’architettura finanziaria globale, come Caritas. Nella bolla di indizione del Giubileo scritta da papa Francesco, del resto, si fa esplicita richiesta ai paesi più ricchi di «condonare i debiti di paesi che mai potrebbero ripagarli». 

«Gli attuali meccanismi di riduzione del debito non funzionano – si legge nell’appello dei vescovi anglicani e protestanti – è stata concordata una riduzione del debito di entità trascurabile perché i creditori privati ​​non partecipano pienamente. La legislazione del Regno Unito può obbligare i creditori privati ​​ad andare oltre nei negoziati sul debito, avvantaggiando direttamente gli stati che negoziano la riduzione del debito con i creditori privati ​​e incoraggiando anche una più ampia cooperazione internazionale per la giustizia del debito».

La proposta di legge 

Il provvedimento mira a consentire la sospensione del pagamento del servizio del debito durante la negoziazioni per la sua ristrutturazione. Il disegno di legge vorrebbe anche limitare i casi in cui un creditore privato può fare causa contro il debitore una volta terminato il processo di ristrutturazione, cosa adesso possibile presso la giurisdizione che regola il contratto (e quindi, come accennato, quella britannica nella stragrande maggioranza dei casi). Con la legge, si vorrebbe inoltre evitare che i creditori privati possano ottenere migliori condizioni degli altri durante la ristrutturazione.

In realtà, quest’ultimo punto è già parzialmente presente nel più recente meccanismo di ristrutturazione del debito, il G20 Common Framework. La piattaforma, promossa durante la pandemia di Covid-19, è la prima a riunire insieme i creditori tradizionali del Club di Parigi (per lo più paesi occidentali) e i “nuovi” creditori come Cina, Arabia Saudita o India. Pechino dispone in realtà di una quota molto importante del debito di diversi paesi africani.

Non da ultimo, il Common Framework prevede una prima forma di coordinamento con i creditori privati, che non fanno parte ufficialmente del meccanismo ma che devono rispettare alcune condizioni nei loro negoziati paralleli. E che soprattutto non possono conseguire condizioni ritenute migliori di quelle ottenute dai paesi del G20 in base a una specifica clausola. 

Il sistema si è rivelato però piuttosto farraginoso: ci sono voluti quasi quattro anni per concludere la ristrutturazione del debito dello Zambia, primo paese ad andare in default durante la pandemia e anche primo paese ad aderire all’iniziative del G20. A emergere con chiarezza è stata proprio la difficoltà a coordinare i negoziati fra diversi tipi di creditori. 

E la questione, ampliando lo sguardo, non riguarderebbe solo i privati. Come affermato dal direttore dell’FMI per l’Africa, Abebe Aemro Selassie, «nelle recenti ristrutturazioni, non mi risulta che [i creditori privati ​​restii] abbiano rappresentato il ​​principale ostacolo» nei negoziati.

Attori relativamente nuovi come le banche commerciali cinesi e gli istituti commerciali regionali africani, come la Banca africana per l’esportazione e l’importazione (Afreximbank), si sono mostrati poco collaborativi. Un motivo che spinge alcuni esperti a credere che la proposta di legge britannica potrebbe avere effetti limitati. 

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