
Il romanzo di Mohammed Bouraya guida il lettore dentro una storia che in genere si sente raccontare solo per sommi capi. Una storia che vale solo un numero di una statistica, un virgolettato in un report dei tanti che ogni anno vengono pubblicati sulla rotta migratoria lungo il Mediterraneo centrale.
Quella che parte dall’Africa subsahariana e che arriva in Italia, costando la vita a migliaia di persone ogni anno fra leggi repressive, accordi con i paesi di transito che violano i diritti umani e infine l’attraversamento del mare con mezzi di fortuna mentre a sud premono guardie costiere malavitose e a nord un apparato di controllo che non è da meno.
In Dei traumi, tutto ciò è raccontato tramite lo sguardo di Latifa e del fratello Ma’ruf. I due fuggono dal Mali dopo un attacco di una milizia in cui scompaiono i genitori. Una storia comune nella regione diventata l’epicentro del terrorismo globale. Da qui parte un doloroso viaggio che attraversa la Libia e giunge fino a Lampedusa. Il legame fra i fratelli è forte, al punto che la figura di Ma’ruf resta centrale anche quando la sua diventa una terribile assenza.
Un ruolo chiave lo ricopre anche la religione musulmana dei protagonisti, loro punto di riferimento. Lo stile di Bouraya, al suo secondo romanzo, è a volte evocativo, a volte naïf, a tratti pedagogico. Quasi a voler spiegare cosa vogliano veramente dire i traumi che danno il titolo al volume, la cui potenza si impone alla fine del romanzo. E forse, di questo spirito pedagogico, abbiamo davvero bisogno.