
Il calcio africano ha un nuovo, giovane sovrano dal nome piuttosto evocativo e accattivante: Pyramids FC. Dopo aver pareggiato sul filo di lana (1-1) a Pretoria nella finale d’andata, infatti, grazie alle reti di Mayele e Samy gli egiziani hanno battuto per 2-1 i sudafricani dei Mamelodi Sundowns nella fortezza dello “Stadio del 30 giugno” del Cairo, aggiudicandosi la Champions League africana per la prima, storica volta nella loro storia.
Un successo che conferma ancora di più l’egemonia del calcio egiziano sull’universo africano: il Pyramids, infatti, si è unito allo stesso club di Al Ahly, Zamalek e Ismaily, diventando il quarto club egiziano a sollevare il trofeo per club più prestigioso d’Africa. Nessun altro paese, nella storia del calcio africano, aveva mai sfornato quattro campioni continentali diversi.
L’ingresso nella hall of fame del Pyramids, comunque, non è del tutto inaspettato o sorprendente, anche se si tratta di un club con davvero poca storia sulle spalle. Tutto comincia nel 2008, con la fondazione dell’Al-Assiouty Sport, una squadra minore dell’Alto Egitto, promossa per la prima volta in Premier League nel 2014.
Ma la svolta, quella vera, arriva 10 anni dopo, nel 2018, quando il tycoon saudita Turki Al Sheikh – attuale presidente della General Entertainment Authority nonché consigliere presso la corte reale – rileva il club, autorizza il trasloco verso la capitale, ne stravolge i colori sociali, ma soprattutto lo ribattezza Pyramids per scopi di marketing.
Le ambizioni sono altissime: l’obiettivo, nemmeno troppo velato, è quello di fare emergere una terza potenza nel calcio egiziano, spezzando il millenario duopolio dei giganti Al-Ahly e Zamalek.
La strategia per raggiungerlo è un cocktail di acquisti scintillanti, campagne mediatiche – tra cui la creazione di un canale televisivo ad hoc con commentatori d’eccezione come le leggende John Terry, Ronaldinho, Robbie Keane, Mido e Roberto Carlos – e un’impronta manageriale decisamente aggressiva.
Il budget messo a disposizione per il calciomercato, naturalmente, è un qualcosa di faraonico per queste latitudini. Nella sessione estiva della stagione 2018/19 vengono spesi 33 milioni di euro per ingaggiare 23 giocatori, praticamente una rosa intera, tra cui spiccano Ali Gabr, pilastro della difesa dello Zamalek, il trequartista peruviano Benavente, il bomber ecuadoriano Jhon Cifuente e i brasiliani Carlos Eduardo, Rodriguinho e soprattutto Keno, prelevato dal Palmeiras per 8.5 milioni di euro e strappato addirittura alla concorrenza di alcun club europei.
Le cose, però, faticano a decollare, anche a causa di scelte incomprensibili: dopo sole tre giornate di campionato, con la squadra in cima alla classifica con 7 punti dopo 2 vittorie e 1 pari, il club esonera l’allenatore brasiliano Alberto Valentim, chiamando al suo posto l’iconico argentino Ricardo La Volpe, a sua volta allontanato dopo solamente sette gare.
C’è anche di peggio: a causa del trasferimento coatto al Cairo, per dire, la squadra è poco seguita dai tifosi. E, come se non bastasse, in più c’è anche un problema ambientale. Il Pyramids spendaccione e acchiappatutto a trazione saudita, infatti, è nella migliore delle ipotesi mal sopportato e considerato un tentativo di colonizzazione culturale, e nella peggiore guardato come una minaccia, dalle tifoserie rivali.
Lo testimonia quello che accade durante una partita di Champions League africana, quando i tifosi dell’Al-Ahly prendono di mira Al-Sheikh, lanciando cori denigratori contro la madre. Il tycoon, imbufalito per il trattamento ricevuto, minaccia ripetutamente di ritirare il proprio investimento nel calcio egiziano. Detto, fatto: nel luglio del 2019, dopo neanche un anno al timone, cede il club al businessman emiratino Salem Al Shamsi.
Nonostante il caos dirigenziale, e i molteplici avvicendamenti in panchina, in campo le cose vanno discretamente bene: il Pyramids chiude al terzo posto, raggiunge la finale di Coppa d’Egitto, poi persa con lo Zamalek, ma soprattutto si qualifica per la prima volta per una competizione continentale, la CAF Confederation Cup.
Senza più Al Sheikh, il club dice addio alle spese folli sul mercato e impone in questo senso una sorta di spending review, ma mantiene comunque alcuni tratti caratteristici della precedente gestione: massicci investimenti nei media, attrattività per gli sponsor e costruzione di una “brand identity” per così dire pan-araba.
Non mancano nemmeno colpi ad effetto, come l’acquisto nel 2020 di Ramadan Sobhi, eterna promessa incompiuta del calcio egiziano. Anche grazie a questo, il Pyramids riesce a stabilizzarsi come la terza forza nel panorama egiziano (nella stagione 21-22 arriva addirittura secondo dietro lo Zamalek), nonché a crearsi una buona reputazione anche a livello africano. Merito della finale di Caf Confederation Cup, l’Europa League in salsa africana, conquistata nel 2020 dopo uno straordinario percorso partito dai preliminari, anche se poi vinta dai marocchini del Berkane.
Se Turki Al Sheikh ha gettato le basi del progetto e Salem Al Shamsi lo ha evoluto, rendendolo solido e stabile, però, l’uomo che lo ha reso finalmente vincente è indubbiamente Krunoslav Jurcic. Il tecnico serbo, passato da giocatore anche per la Sampdoria e arrivato in riva al Nilo nel 2024, ha dato subito un’identità tattica forte alla squadra, trovando il giusto mix tra senatori e giovani emergenti, tra cui l’esterno Ibrahim Adel, nominato due anni fa miglior giocatore della Coppa d’Africa U-23.
La scorpacciata di trofei è stata una conseguenza: oltre alla Champions League appena sollevata, lo scorso agosto il Pyramids ha conquistato la finale con lo ZED. Non solo: i blucelesti, primi in classifica al giro di boa del campionato, sono più che mai in corsa per laurearsi campioni d’Egitto per la prima, storica volta nella storia.
“A volte abbiamo lottato da soli, ma ora ci siamo guadagnati il rispetto di un continente “, ha dichiarato in conferenza stampa un orgoglioso Jurcic, diventato il primo allenatore croato a vincere la CAF Champions League, rinverdendo i successi degli jugoslavi Ivan Ridanović e Branko Žutic negli anni ’70 e ’80.