
“Il futuro della democrazia in Africa” è il titolo dell’iniziativa promossa dal maggior partito di opposizione angolano, l’UNITA, il 14 marzo a Benguela, nella parte occidentale del paese, in occasione del 59⸰ anniversario della sua fondazione, e col sostegno di organizzazioni internazionali quali la Benthurst Fondation, la Konrad Adenuer e il World Liberty Congress.
Ciò che sarà della democrazia africana è difficile da pronosticare, tuttavia, sul presente vi sono pochi dubbi.
L’UNITA è considerato un partito di centro-destra che aderisce all’Internazionale democratica centrista (IDC), di cui Pier Ferdinando Casini è stato presidente dal 2006 al 2015, e la cui leadership è adesso esercitata da Andrés Pastrana Arango, che è stato presidente della Colombia dal 1998 al 2002.
In Africa i partiti che aderiscono a questa organizzazione si sono formati, storicamente, in opposizione agli ex-partiti unici di stampo marxista-leninista, proponendosi come formazioni politiche tese a introdurre o rafforzare lo stato di diritto e i principi democratici.
È questo il caso dell’MDM (Movimento democratico del Mozambico) o dell’MpD (Movimento per la democrazia di Capo Verde, attualmente al governo), ma anche, in Europa, del PSD (Partido social-democratico del Portogallo, vincitore delle ultime elezioni) o del PP (Partito popolare) in Spagna.
Invitati fermati all’arrivo
Il 13 marzo scorso decine di leaders da tutto il mondo sono giunti all’aeroporto di Luanda, capitale angolana, al fine di proseguire per Benguela, dove l’incontro di riflessione sul futuro della democrazia africana avrebbe dovuto celebrarsi.
Ciò avveniva nello stesso giorno in cui João Lourenço, presidente del paese, si avviava a coordinare la sua prima riunione nelle vesti di presidente dell’Unione Africana.
Quasi tutti gli invitati dell’UNITA sono stati trattenuti, senza alcun motivo giuridico, in aeroporto per circa otto ore, comprese figure come Andrés Pastrana Arango o l’ex-presidente del Botswana Ian Khama che in segno di protesta ha abbandonato immediatamente l’Angola.
Ad altri è stato impedito di entrare in territorio angolano e sono stati rispediti nei rispettivi paesi, imbarcati nel primo volo verso Addis Abeba.
Fra questi, Tundu Lissu, ex-candidato presidenziale in Tanzania con il partito Chadema, o il senatore kenyano Edwin Sifuna che ha definito “una vergogna” l’atteggiamento delle autorità angolane.
Peggio è andata a Venâncio Mondlane, leader dell’opposizione in Mozambico, e ai suoi due accompagnatori, Dinis Tivane e Luís Mariquelle, fatti imbarcare per Johannusburg, senza aver avuto la soddisfazione di avere una spiegazione a proposito.
Il mediatore Lourenço perde credibilità
Questo episodio ha macchiato forse in modo indelebile l’immagine di João Lourenço, che da anni si sta proponendo come uno dei leader africani di riferimento per mediazioni di complessi conflitti nel continente.
È lui a condurre le trattative fra il gruppo M23 e la Repubblica democratica del Congo, ed è lui che, oggi, coordina l’Unione Africana.
Ma, internamente, Lourenço è da sempre oggetto di dure critiche, a partire dal modo con cui ha condotto i processi elettorali e per il pugno di ferro usato contro gli oppositori politici.
Contrapporsi al partito-stato
Ma c’è di più: si sta ormai formando, in alcuni paesi africani appartenenti alla SADC (la Comunità di sviluppo dell’Africa australe) una evidente biforcazione non tanto fra partiti di centro-destra e di centro-sinistra, quanto fra partiti (e stati) autoritari e democratici.
Ai primi appartengono formazioni che sono passate per esperienze socialiste o marxiste-leniniste, quali MPLA (Angola), Frelimo (Mozambico), ZANU-PF (Zimbabwe), Partito della rivoluzione (Tanzania), che da sempre hanno governato i rispettivi paesi e che oggi stanno riducendo drasticamente gli spazi di libertà nei propri territori.
Sovente si trovano al governo grazie a elezioni fraudolente, tentano di alterare i principi costituzionali affinché il proprio presidente rompa la regola del doppio mandato, facendone un terzo (come attualmente sta avvenendo con Mnangagwa in Zimbabwe), usano la forza per mantenersi al potere, nonostante performance governative pessime.
Una rete minacciosa
In questo contesto, la rete dei partiti democratici, molti dei quali appartenenti all’IDC, stanno esprimendo leadership di alto livello, come Venâncio Mondlane in Mozambico o Adalberto Costa Júnior in Angola.
Si tratta di una rete giudicata “pericolosa” dai governi gestiti da partiti autoritari, poiché esperienze come quella di Mondlane in Mozambico possono rappresentare un esempio di come scardinare poteri in apparenza solidi – ma che si stanno rivelando deboli -, delegittimandoli dalla radice.
Il ricorso sempre più frequente e massiccio alla repressione, anziché alla proposta politica, per limitare il malcontento popolare, ne è una evidente dimostrazione.
Questo presente dinamico potrebbe assecondare il vento di cambiamento che soffia da anni in questi paesi, ma al momento il monopolio della forza e dell’apparato giuridico, processi elettorali compresi, da parte dei partiti-stati lo sta impedendo. A costi umani, sociali ed economici altissimi.