
Un modello di economia comunitaria e solidale – innescato da una organizzazione non governativa e praticato a Ndem, un villaggio senegalese a 200 km da Dakar – è diventata occasione di confronto all’Università di Verona tra più mondi: accademico, associativo, comunitario e studentesco.
Ci si è chiesto se e in che modo sia praticabile, in Senegal ma anche qui da noi, un tipo di economia fondata su relazioni di prossimità e reciprocità, e capace di guardare oltre il capitalismo liberista. Una sfida che richiede una forte assunzione di responsabilità, come hanno sottolineato due dei principali organizzatori: l’Università di Verona e Mag (Mutua autogestione, cooperativa che opera nell’ambito della finanza etica e critica).
“Quando l’economia è cura” è il titolo della conversazione pubblica che si è svolta il 22 maggio al polo Santa Marta dell’Università. L’incontro fa parte del progetto “Il mondo tra le mani”, finanziato da Regione Veneto.
Sokhna Aissa Cissé, fondatrice nel 1984 della ong Villageois de Ndem, ha ricordato che l’economia comunitaria maturata nel villaggio senegalese poggia sulle relazioni e sui valori della confraternita sufi Baye Fall, via mistica dell’islam. «Significa che ciascuno ha sacrificato un pezzo di sé alla causa comune. Sono tre le parole che ci fanno da guida: cuore, giustizia, equità». La ong mantiene una stretta relazione con l’Italia attraverso l’associazione YermaNdem, sorta in ambito Mag.
Più nel merito l’intervento di Maan Samba Mbow, socio della ong. Hanno dotato il villaggio di un pozzo e poi di un acquedotto, e a seguire di una scuola e di un dispensario. Inoltre per frenare l’esodo degli uomini che vanno in città per trovare lavoro, sono state avviate attività artigianali, agricole e di trasformazione dei prodotti della terra. Stanno anche producendo un biocombustibile recuperando i gusci delle arachidi, pressandoli e facendone delle palline che servono ad alimentare il fuoco (salvaguardando cosi gli alberi).
«Soprattutto, ha rimarcato Mbow, conduciamo un’azione di sensibilizzazione e di formazione sul territorio, così da far conoscere l’esperienza. E per far attecchire il modello, da una ventina d’anni ci occupiamo anche di microfinanza. Possiamo dire di aver contribuito a migliorare la vita di migliaia di persone».
In collegamento dall’Università di Dakar, Doudou Mane Diouf ci tiene a ribadire che «la comunità sufi propone un islam comunitario che cerca di rispondere ai bisogni dell’essere umano, agendo in tre ambiti principali: culturale, educativo, ecologico. E perciò può aiutare a superare la crisi economica, sociale ed ecologica che attanaglia mondo».
Brevi ma puntuali le considerazioni di Luca Zarri (Scienze economiche). «Lo sguardo olistico va coltivato. Oggi si tende, mi riferisco anche ai media, a fornire una visione riduzionista dell’economia. Le imprese sono fatte coincidere con il profitto; l’economia con il mercato; il benessere con il solo benessere materiale. Si tratta di pregiudizi. Certo siamo in un’era di capitalismo tossico, dunque parlare dell’economia come cura suona come una provocazione. E invece, anche in campo economico, si è sviluppata una visione che mira alla relazione, si parla di beni relazionali: che non sono beni privati. Il modello Ndem ti mette di fronte all’altro, ed è un modello in parte esportabile. Si tratta di mettere insieme materia e spirito».
Gli fa eco Veronica Polin (Scienza delle finanze). «Da non pochi anni chiedo ai miei studenti: che cos’è l’economia per te? Le risposte prevalenti sono: soldi, profitto, efficienza, finanza. Invece una economia diversa c’è. Mi sono sempre interessata di economie cosiddette “marginali”, per esempio il microcredito, la Mag… La chiamo “buona economia” perché ha cura delle persone e della natura. L’ho trovata anche studiando alcune comunità montane; li si realizza qualcosa in cui crede e questo si chiama cura del valore».
A proposito di assumersi responsabilità, se si vuole il cambiamento, va segnalata la testimonianza di Cinzia Melograno, attiva nel circuito Mag di Reggio Emilia. «Alla fine degli anni novanta ho scelto di cambiare la mia vita: mi sono licenziata, mi sono immersa nel mondo della mutualità e dell’autogestione, e ho scoperto un nuovo modo di rapportarmi con il denaro. Sono riuscita a sentirmi più ricca con meno denaro e ho liberato tempo dal lavoro produttivo. Mi sono data altri tempi di vita, mi sono ascoltata nel profondo, ho affinato le relazioni. Per fare ognuna di questa azioni bisogna liberare tempo. Bisogna comprendere che la risposta sempre individuale ai problemi è inadeguata, la sicurezza deve venire dalle relazioni. Oggi vivo in una comunità e rifiuto la proprietà privata».
È un invito ad evitare di parlare e basta, senza che nulla cambi.