
Crescono le tensioni tra Grecia ed Egitto sullo status del monastero cristiano ortodosso di Santa Caterina nel Sinai. Una delegazione greca sta discutendo al Cairo il delicato tema, diventato oggetto di una dura controversia tra i due paesi dopo la sentenza della corte di Ismailia dello scorso 28 maggio che ha dichiarato l’antico sito come costruito su terreno demaniale egiziano.
Il monastero godeva da oltre 1.500 anni di autonomia e apparteneva alla Chiesa greco-ortodossa. Fondato nel VI secolo dall’imperatore bizantino Giustiniano e considerato uno dei più antichi monasteri cristiani ancora in attività, è un simbolo di ortodossia e di eredità ellenica, nonché patrimonio dell’umanità dell’UNESCO
La decisione della scorsa settimana ha diffuso reazioni allarmistiche tra le autorità greche e ortodosse che hanno sostenuto che la decisione potrà minare il carattere religioso del sito e determinare l’espulsione o gravi restrizioni per i monaci che vi risiedono.
La sentenza dei giudici egiziani
La sentenza riguarda una disputa, che va avanti sin dall’anno al potere dei Fratelli musulmani (2012-2013), tra il monastero del VI secolo e il governatorato del Sud del Sinai.
Se i giudici egiziani hanno confermato il diritto del monastero a usare la terra e i siti religiosi, hanno aggiunto che si tratta in ogni caso di “proprietà pubblica statale”.
Questa decisione farebbe perdere al monastero la sua autonomia che va avanti da 15 secoli.
L’iniziativa coincide con i provvedimenti presi dalle autorità egiziane di sviluppare la regione come un hub turistico e di scalata sportiva, intorno al Monte Sinai.
Ma per i leader religiosi greci ortodossi uno sviluppo in questo senso può aprire la strada ad un controllo statale più stringente sul monastero e anche alla rimozione dei monaci che vi risiedono.
Le reazioni greche
Il portavoce del governo greco, Pavlos Marinakis, ha sostenuto che Atene è impegnata a difendere lo spirito greco-ortodosso e i pellegrinaggi al monastero di Santa Caterina.
Non solo: l’arcivescovo Ieronymos di Atene ha definito la sentenza «scandalosa» e una violazione delle libertà religiose da parte dei giudici egiziani.
Secondo Ieronymos, il monastero ora sarà “confiscato” nonostante le dichiarazioni in senso contrario del presidente al-Sisi. «Questo faro spirituale dell’ortodossia si trova ora ad affrontare una questione di sopravvivenza», ha aggiunto Ieronymos.
Anche dai patriarchi di Gerusalemme e Instanbul
Condanne per la decisione sono arrivate anche dai patriarchi greci ortodossi di Gerusalemme e Istanbul. Il patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme ha ricordato che il monastero aveva ricevuto una lettera di protezione da parte del profeta Maometto nel VII secolo, confermata dal sultano ottomano Selim II.
Sulla stessa linea il patriarcato ecumenico di Costantinopoli che si è detto “rattristato” dalla decisione e ha chiesto alle autorità egiziane di rispettare una lunga tradizione di accordi con il monastero.
Non solo: c’è stata una levata di scudi dei partiti di opposizione greci, da Syriza al Pasok, che hanno accusato il governo di fallimento diplomatico e superficialità. L’ex premier, Antonis Samaras, ha definito la decisione “incredibile” e ha avvisato della crescente marginalizzazione della Grecia nella diplomazia internazionale.
Altri politici di opposizione hanno sottolineato l’incapacità del governo nella gestione di siti culturali e religiosi facendo riferimento anche all’inerzia seguita alla riconversione di Santa Sofia in una moschea a Istanbul in Turchia nel 2020.
La posizione egiziana
Il Cairo ha negato qualsiasi minaccia imminente allo status del monastero. Lo stesso Marinakis ha confermato che il premier greco, Kyriakos Mitsotakis, aveva sollevato la questione direttamente con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi durante la sua recente visita ad Atene e in una telefonata a inizio maggio.
«Il premier ha chiesto con chiarezza di preservare l’identità greco-ortodossa del monastero di Santa Caterina», ha spiegato Marinakis. Il ministro ha aggiunto che entrambe le parti vogliono risolvere la questione seguendo canali formali e nel rispetto delle reciproche tradizioni religiose.
Marinakis si è detto fiducioso che il monastero potrà continuare ad operare senza interruzioni, come uno dei monasteri ortodossi più emblematici al mondo.
Lo stesso al-Sisi ha confermato l’impegno egiziano a «preservare lo status religioso del monastero» in una nuova telefonata con il premier greco.
L’archeologo egiziano, Abdel Rahim Rihan, ha sostenuto in particolare che i beni immobili del monastero debbano essere trattati secondo la legge egiziana sui beni culturali e la decisione messa in atto dopo la sentenza del tribunale garantisce la valorizzazione del sito a beneficio del “patrimonio mondiale”. Molti operatori locali in Egitto hanno criticato i nuovi progetti di al-Sisi per sviluppare il turismo nel Sinai come una minaccia all’ecosistema locale e contro la comunità monastica.
Questioni energetiche nel Mediterraneo orientale
Ma Grecia ed Egitto hanno molti altri temi in sospeso, a partire dalle questioni energetiche davvero importanti per le autorità del Cairo dopo le recenti scoperte di gas naturale nel Mediterraneo.
Per esempio, uno dei temi che ancora non ha trovato una sua completa realizzazione è stato sollevato con l’accordo internazionale tra Grecia, Israele e Cipro per la costruzione del gasdotto EastMed, firmato dai ministri dell’energia, Kostis Hatzidakis, Yuval Steinitz e Yiorgos Lakkotrypis, ad Atene nel gennaio 2020.
La pipeline dovrebbe avere una lunghezza di 2 mila km per trasportare 11 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
Il progetto è stato annunciato per la prima volta nel 2013 quando la Grecia ha beneficiato di aiuti europei per la realizzazione dei lavori preliminari. I tre paesi coinvolti in EastMed avrebbero dovuto raggiungere un accordo definitivo entro il 2022 per chiudere i lavori entro il 2025. Tuttavia, il ritiro degli Stati Uniti nel 2022 da un progetto che avrebbe escluso la Turchia ha reso più complessa la realizzazione dell’opera.
I sospetti sulla Turchia
La firma dell’accordo preliminare è arrivata poche settimane dopo l’intesa tra Turchia e governo di Tripoli, duramente criticata da Grecia, Cipro e Israele.
Secondo il ministro dell’energia greco, la pipeline, tra le altre cose, permetterebbe forniture di gas naturale in aree della Grecia che non hanno accesso alle risorse nazionali di gas naturali, come Creta, il Peloponneso e la Grecia occidentale. Questo determinerebbe la sostituzione del petrolio con il gas naturale aiutando a diminuire le emissioni di diossido di carbonio” (CO2) nella regione.
I riflessi del riavvicinamento tra il Cairo e Ankara
Il riavvicinamento tra Egitto e Turchia sta mettendo in discussione le alleanze del Cairo nel Mediterraneo orientale in tema di gas con Grecia e Cipro.
Non solo, la decisione della corte di Ismailia sullo status del monastero di Santa Caterina nel Sinai, una regione attraversata negli ultimi anni da grave instabilità politica per la diffusa presenza di gruppi jihadisti e al centro di nuove controversie dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas a Gaza, potrebbe rappresentare uno dei momenti più tesi nelle relazioni bilaterali tra Egitto e Grecia.
Se, da una parte, al-Sisi si presenta come il difensore dei diritti dei cristiani in Egitto, messi a dura prova negli scontri settari, a orologeria, che hanno attraversato il paese dopo le rivolte del 2011, dall’altra, il Cairo sta mettendo le mani su uno dei simboli più importanti per la chiesa ortodossa nel mondo in nome dello sviluppo turistico, già rafforzato con altri progetti come il Grande Museo Egizio (GEM).
Innescando stavolta, tuttavia, la dura reazione delle autorità religiose ortodosse.