Questo articolo è uscito nel numero di Nigrizia di febbraio 2024.
Prima che finiscano nel dimenticatoio, ci sono un paio di cose che vanno dette sulle elezioni presidenziali, legislative, provinciali e municipali che si sono svolte nella Repubblica democratica del Congo il 20 dicembre scorso.
La partecipazione e i diritti di cittadinanza hanno alzato bandiera bianca. L’esercizio del voto, come espressione di fiducia nei meccanismi della democrazia, ha cominciato a essere spazzato via con l’esito delle elezioni truccate del 2018. E questa volta, senza sorpresa, il 57% dei 42 milioni di aventi diritto è rimasto a casa o non è stato messo nelle condizioni di votare. Una débâcle anche per la società civile che ha mostrato tutti i suoi limiti.
Che ci sarebbero state gravi irregolarità era già scritto nella composizione della Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni), apparecchiata attorno a un presidente emanazione del partito di governo. Eppure gli sconfitti – che si sono presentati in ordine sparso invece di cercare un accordo elettorale – si sono limitati a sommesse proteste e ad annunciare ricorsi che non hanno nessuna possibilità di essere accolti.
Il 16 gennaio, a risultati quasi interamente acquisiti, si è sentita la voce della Conferenza episcopale (Cenco) che ha definito le elezioni «una catastrofe elettorale». E poi ha specificato che sono state caratterizzate da «frode, corruzione su larga scala, vandalismo di materiale elettorale, incitazione alla violenza, detenzione illegale di dispositivi elettronici di voto, voto di scambio, intolleranza, impudenza, violazione dei diritti umani…».
Con un tale bagaglio di manomissioni ci si sarebbe aspettati che i vescovi congolesi chiamassero in causa il governo e chiedessero l’annullamento del voto. Se la sono presa, invece, con la Ceni che altro non è che l’espressione di indicazioni che arrivano dall’alto, dal presidente uscente e rieletto Félix Tshisekedi. E anche la richiesta alla giustizia di farsi carico di tutte le denunce per invalidare le frodi suona come il voler ridurre la «catastrofe elettorale» in un contenzioso elettorale.
Come già avvenne nel 2018, la Cenco ha scelto di tenere un basso profilo per non intaccare la «coesione nazionale» e per evitare ulteriori tensioni.
Guardando avanti, nei prossimi cinque anni l’Rd Congo avrà un parlamento, monocolore-Tshisekedi, che non farà altro che ratificare le scelte del presidente e del suo governo. Una sorta di ritorno al monopartitismo. Ma ciò che più preoccupa, come Nigrizia ha già avuto modo di sottolineare, è il sempre maggior distacco dalla politica del paese reale – quello che ha smesso di scommettere sul cambiamento e anche quello che deve preoccuparsi di mettere insieme il pranzo con la cena.
Rimane il fatto che Tshisekedi, dopo aver governato di male in peggio per 5 anni e dopo aver lasciato tre province del nordest (Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu) in balìa dei gruppi armati e degli appetiti del Rwanda, è stato riconfermato presidente con il 73% dei voti. Non saprà governare, ma sa perfettamente come rimanere a galla distribuendo prebende, promettendo mirabilia e dividendo gli avversari politici.
Sconfitti
Nelle presidenziali, dietro a Félix Tshisekedi, che si è insediato il 20 gennaio, si sono piazzati Moïse Katumbi (18,08%), Martin Fayulu (4,92%), Adolphe Muzito (1,13%) e il premio Nobel per la pace Denis Mukwege.