L’eterno passato di Isaias Afwerki - Nigrizia
Editoriali Eritrea Migrazioni
L'editoriale di novembre 2023
L’eterno passato di Isaias Afwerki
01 Novembre 2023
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti
Isaias Afwerki (Credit: Middle East Online)

L’Eritrea potrebbe sembrare un paese immobile. Una grande prigione a cielo aperto gestita da oltre 30 anni dall’autocrate Afwerki, il presidente che non ha mai dismesso i panni del guerrigliero e così facendo ha costretto tutti gli eritrei a non rompere mai i ranghi del paese eternamente in guerra, come dimostra concretamente l’indefinita leva obbligatoria a cui sono sottoposti.

Corrisponde al vero, questa immagine di esasperante staticità? Come leggerete nel nostro dossier, in parte, possiamo dire, sì. Afwerki è inamovibile al potere e così è il suo sistema di controllo del paese.

Gli uomini che lo accompagnano in questa trentennale traiettoria di autoritarismo sono in buona parte gli stessi che lo hanno accompagnato nella guerra di indipendenza combattuta contro l’Etiopia, pure questa per tre decadi, dal 1961 al 1991.

Difficile poi capire cosa avviene davvero nel paese. Il silenzio di chi si rifiuta di esporsi per il timore di ritorsioni da parte dell’onnipresente apparato di sicurezza dello stato sembra fare più rumore delle denunce di chi combatte contro il governo.

Con delle eccezioni certo, come ha dimostrato non troppo tempo fa la Chiesa cattolica locale, pagate però a caro prezzo.

Eppure dei segnali di cambiamento ci sono. Vengono dall’enorme diaspora che vive fuori dal paese, costituita anche da persone che pensano a come cambiare la società nonostante, in molti casi, portino con loro il vissuto traumatico di chi attraversato il deserto e il mare, spesso scampando a una fine tragica.

Una nuova mobilitazione contro dei festival organizzati da associazioni vicine al governo eritreo ha infiammato nei mesi scorsi le strade di diversi paesi dell’Europa, del Nord America e del Medioriente.

I giovani che animano questo movimento l’hanno chiamato Bridge Nhamedu, un riferimento in lingua tigrina alla “terra” del proprio paese da cui sono lontani. Il processo in corso non è di quelli semplici, pacifici.

I sit-in del movimento contro le kermesse pro-Asmara sono degenerati più volte in scontri violenti, con decine di feriti e arresti, al punto che a settembre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha anche invocato il rimpatrio forzato per tutte le persone coinvolte in disordini che hanno avuto luogo a Tel Aviv.

Il perché di questa rabbia provano a spiegarlo gli accademici e i giornalisti che hanno costruito il nostro dossier.

C’è sicuramente la determinazione nello scrollarsi di dosso il controllo oppressivo dello stato, che travalica i confini e sembra arrivare ovunque ci sia un eritreo. Ma c’è anche il tentativo di superare un’ambivalenza interna segnata dalla convivenza fra la consapevolezza della violenza del governo e un patriottismo comunque radicato nel profondo.

Il senso della “cittadinanza sacrificale” forgiato da Afwerki sopravvive alla migrazione e a volte travolge chi in Eritrea non c’è neanche mai stato, veicolato dall’ambiente familiare.

Eppure una nuova mobilitazione è riuscita a nascere, ottenendo anche l’annullamento di diversi festival. Da qualche parte in Europa e in America giovani eritrei o di origine eritrea hanno costretto le lancette dell’orologio a tornare a muoversi. L’eterno passato di Afwerki è avvertito.


Brgied Nhamedu

Letteralmente “la brigata della terra” o “della patria”, è un movimento nato nei Paesi Bassi nel 2002 per protestare contro dei festival organizzati in varie città europee da alcune organizzazioni della diaspora eritrea. Secondo le accuse di questo gruppo di attivisti, le realtà in questione sono legate alla diplomazia di Asmara e i festival dei veri e propri momenti di propaganda a favore del regime.

Scontri anche violenti fra esponenti del Brgied Nhamedu e sostenitori del governo si sono verificati in Germania, dove il movimento ha fatto la sua prima apparizione ufficiale nel luglio 2022, e poi in Norvegia, Israele, Svezia, Canada e Stati Uniti. Centinaia le persone arrestate nei vari paesi. Diversi kermesse pro-governo sono state annullate per il timore di disordini.

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