
L’ultimo rapporto del Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) lancia un allarme: “fino al 1° dicembre 2024, non meno di 67 giornalisti e operatori dei media in Africa si trovavano in carcere a causa del loro lavoro”.
Questo dato evidenzia un rischio intrinseco per chi lavora nell’informazione, una categoria professionale più esposta di altre a potenziali conflitti con i governi a livello globale.
L’Etiopia non è immune a questo fenomeno, e il CPJ ha espresso più volte la sua profonda preoccupazione per le continue azioni repressive nei confronti degli operatori mediatici nel paese.
L’ultima denuncia riguarda il raid della polizia avvenuto il 17 aprile scorso presso la sede del quotidiano indipendente online Addis Standard ad Addis Abeba. Durante queste incursioni, le forze dell’ordine hanno sequestrato numerosi dispositivi elettronici, tra cui laptop, telefoni e supporti di archiviazione dati.
Fondato nel 2011 come rivista mensile, Addis Standard si è evoluto in una pubblicazione trilingue, disponibile sia online che in formato cartaceo. Il suo sito web offre quotidianamente notizie e contenuti di interesse pubblico in inglese, oromo e amarico.
In occasione dell’ultimo intervento della polizia, tre dirigenti sono stati trattenuti per diverse ore. Muthoki Mumo, coordinatore del Programma Africa del CPJ, ha commentato duramente l’accaduto, chiedendo la restituzione immediata delle apparecchiature e sottolineando.
«I raid presso Addis Standard – ha denunciato – rappresentano l’ultima mossa della campagna del governo volta a silenziare i media indipendenti. Il sequestro delle attrezzature della testata solleva gravi preoccupazioni circa il potenziale uso improprio di dati sensibili».
La giustificazione fornita dalla polizia per l’intervento farebbe riferimento a una presunta preparazione da parte della testata di un documentario che avrebbe potuto incitare alla violenza.
Tsedale Lemma, fondatore di Addis Standard, ha categoricamente smentito questa accusa al CPJ, evidenziando come la testata non disponga delle capacità tecniche per produrre documentari.
È inoltre significativo che, oltre al sequestro delle apparecchiature, la polizia abbia richiesto le credenziali di accesso e abbia intimato al personale di non rilasciare dichiarazioni pubbliche sull’incidente.
«Sebbene le nostre credenziali digitali principali rimangano sicure – ha precisato un funzionario di Jakenn Publishing, editore del media trilingue, in un avviso pubblico di qualche giorno fa -, non possiamo garantire l’integrità di messaggi o e-mail inviati dai dispositivi compromessi».
Public notice regarding federal police raid on Addis Standard and mass confiscation of electronic devises
This is a public notice regarding a coordinated police raid on April 17, 2025, targeting both the private residence of a senior staff member and the offices of Addis… pic.twitter.com/lJrb0ybRlz
— Addis Standard (@addisstandard) April 18, 2025
Interpellato dal CPJ, Jeylan Abdi, portavoce della polizia federale, ha dichiarato di non poter rilasciare commenti in quanto la questione è attualmente pendente in tribunale.
Sulla vicenda è intervenuto anche l’ex sottosegretario di stato statunitense per gli Affari Africani, Tibor Nagy, che ha espresso la sua opinione su X: la pubblicazione «non è un giornale scandalistico irresponsabile, ma una pubblicazione obiettiva. Nessun governo apprezza i media indipendenti, che chiedono conto a chi detiene il potere; i governi democratici, tuttavia, accettano le critiche».