Fadéla M’Rabet, pioniera del femminismo algerino - Nigrizia
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L’autrice algerina si è spenta il 14 maggio a Parigi all’età di 90 anni
Fadéla M’Rabet, pioniera del femminismo algerino
M’Rabet è stata un faro per il femminismo nel suo paese, affrontando con lucidità le tre degenerazioni del suo tempo – patriarcato, colonialismo, potere postcoloniale –, alla ricerca di un’armonia collettiva
19 Maggio 2025
Articolo di Nadia Addezio
Tempo di lettura 4 minuti
Fadéla M'Rabet a parigi nel 2025 (Credit: indif/Wikimedia Commons/GNU Free Documentation License/CC BY-SA 3.0)

La pioniera del femminismo algerino. Così è stata definita Fadéla M’Rabet, dottoressa in biologia e autrice algerina che si è spenta il 14 maggio a Parigi all’età di 90 anni. Militante del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), M’Rabet denunciò con i saggi La femme algérienne e Les algériens la condizione di invisibilità delle donne nell’Algeria postcoloniale, appellandosi alla loro liberazione.

Fadéla M’Rabet nacque nel 1935 nella città portuale di Skikda, ex “Philippeville”, in una famiglia che influenzò fortemente il suo spirito di autodeterminazione: suo padre, sostenitore dell’istruzione delle figlie, era tra i leader dell’Associazione degli ulema musulmani algerini, un movimento riformatore dell’islam fondato nel 1930 dall’intellettuale algerino Abdel-Hamid Ibn Bādīs.

Sebbene quest’ultimo sia morto nel 1940, viene ricordato ancora oggi per aver tracciato la strada della rivoluzione (1962), sicuro che l’occupazione francese andasse “combattuta con la conoscenza”. A tali figure si affianca quella della nonna dell’autrice, “Djedda Djemaa”, considerata un modello da emulare per la sua scelta di non risposarsi dopo essere rimasta vedova a soli 26 anni, in seguito alla prematura morte del marito.

In questo contesto prende forma la personalità curiosa e determinata di M’Rabet, che si laurea in biologia all’Università di Algeri e, nel 1954, ottiene un dottorato all’Università di Strasburgo.

Nel frattempo, gli sviluppi della guerra d’indipendenza la coinvolgono: il 19 maggio 1956 in Algeria ha inizio lo sciopero degli studenti, cui segue la fondazione dell’Unione Generale degli Studenti Musulmani Algerini (UGEMA).

Un evento che segna una svolta sia nella guerra di liberazione algerina che nella vita di M’Rabet. La dottoressa in biologia decide, infatti, di non restare indifferente e comincia a militare nelle fila del Fronte di Liberazione Nazionale dall’estero. Il suo impegno politico le costerà l’incarico di insegnante a Strasburgo.

Il ritorno in Algeria e la carriera di autrice 

Sposatasi con il giornalista e attivista francese Maurice Maschino, M’Rabet torna in madrepatria dopo l’indipendenza. Insegna scienze naturali alle scuole superiori di Algeri e intanto conduce programmi radiofonici su Chaine 3, una radio pubblica in lingua francese.

Questi saranno gli anni che vedranno la pubblicazione dei suoi celebri saggi, La Femme algérienne (1965) e Les algériens (1967). Il primo, tratta la condizione della donna algerina dopo la rivoluzione: esclusa dalla cultura e da qualsiasi ruolo decisionale – “Lasciamo che sia la donna a fare il cous cous e noi (gli uomini, ndr) la politica” –, la donna si trova limitata nel movimento e nell’azione, sempre sotto l’ala “protettiva” di un uomo, che sia il padre, il fratello, il marito.

Uno stato di “minorenne a vita” regolato dal Codice di famiglia. Ancora, denuncia il patriarcato in seno allo stesso FLN, per il quale molte donne si erano battute nell’ambito della guerra d’Algeria – “Gli uomini più progressisti, persino i marxisti, quando si tratta di donne, sono reazionari” –. Questi temi ritornano anche in Les algériens, dove l’autrice sottolinea l’urgenza di liberare la donna da una simile condizione repressiva che la costringe a matrimoni forzati, al suicidio, all’abbandono familiare.

In un’intervista del 1968, alla domanda del giornalista: “Chi sono i responsabili di questi fenomeni?”, M’rabet risponde diretta: “Sono gli uomini, ovviamente, poiché sono loro a fare le leggi. E le leggi sono fatte da loro e per loro, purtroppo. Hanno talmente tanti privilegi da non avere alcuna intenzione di emancipare la donna”.

L’esilio in Francia 

La lucidità e la schiettezza di M’Rabet ebbero, ancora una volta, conseguenze sulla sua carriera. Il presidente Houari Boumédiène le interdì, infatti, l’insegnamento nonché l’accesso a qualsivoglia canale mediatico. M’rabet volò, così, nel 1971 a Parigi, costretta all’esilio.

Qui è stata docente e terapeuta agli ospedali Hôtel-Dieu e Broussais, portando avanti al contempo la carriera da scrittrice, pubblicando tra gli altri: L’Algérie des illusions – La révolution confisquée (Laffront, 1972), Une enfance singulière (Balland, 2003), Une femme d’ici et d’ailleurs (Riveneuve, 2005), Le Muezzin aux yeux bleus (Riveneuve, 2008), Alger, un théâtre des revenants (Riveneuve, 2010), La salle d’attente (Des Femmes, 2013).

Fadéla M’Rabet è stata un faro per il femminismo algerino. Con il suo discorso ribelle, analitico, dissidente, mai elitario, ha affrontato con lucidità le tre degenerazioni del suo tempo – patriarcato, colonialismo, potere postcoloniale –, ricercando un’armonia collettiva.

Il suo lavoro include la disamina dell’islam, che difende nella sua forma più moderata e progressista, libera da strumentalizzazioni politiche. Nostalgica della sua infanzia e dei valori familiari, le opere di M’Rabet parlano a tutte le donne che ancora oggi lottano per la propria emancipazione.

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