
Il rischio inevitabile, scrivendo di papa Francesco ora che ha concluso il suo percorso esistenziale, è di vederlo tirato per la giacca da tutti i media. Sono in pochi a criticarne l’operato (per ora…) e in molti a cercare di far proprie, non mancando di evidente ipocrisia, le sue parole di denuncia chiara e senza compromessi dei mali del nostro tempo. A partire dalla devastante “guerra mondiale a pezzi”, che sembra convergere sempre più verso un unico distruttivo conflitto globale che potrebbe sfociare in guerra nucleare.
Solo chi si è sempre unito al suo instancabile impegno per la pace, sente davvero quanto grande sia la sua perdita. E le poche parole da lui pronunciate esattamente un anno fa durante Arena di pace, a Verona: «Non c’è nulla da dire di fronte a questo abbraccio, solo silenzio», davanti al gesto di pace tra due imprenditori, uno palestinese e l’altro israeliano, restano il più potente lascito del suo desiderio di pace.
Perfino chi lo ha spesso criticato fino a dileggiarlo cerca in qualche modo di rimediare ora, definendolo (in modo un po’ subdolo…) promotore di pace, ricco di umanità, animato da predilezione per i poveri, gli emarginati, i vulnerabili, i migranti e gli scarti della società. A Nigrizia si, ne sentiamo forte la mancanza. I suoi dieci viaggi in Africa, missioni nelle quali lo abbiamo accompagnato, attraverso collaboratori, confratelli e consorelle, fisicamente o spiritualmente, rappresentano altrettante conferme della solidarietà che ci ha dimostrato così spesso, incoraggiandoci nel nostro lavoro.
Ancor vive risuonano le sue forti e decise parole a Kinshasa nel 2023, nel suo 40° viaggio apostolico. Un viaggio che lo ha portato in Repubblica democratica del Congo prima e in Sud Sudan poi. Due paesi martoriati da anni, se non decenni di conflitto, e in cui papa Francesco ha voluto recarsi con grande determinazione e nonostante diversi, seri problemi fisici.
Di fronte al presidente congolese Félix Tshisekedi e a una schiera di politici di alto rango e diplomatici, il santo padre aveva affermato: «Giù le mani dalla Repubblica democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare… L’Africa sia protagonista del suo destino! L’Africa, sorriso e speranza del mondo, conti di più: se ne parli maggiormente, abbia più peso e rappresentanza tra le Nazioni».
Denunciando con forza il rischio dell’indifferenza di fronte alle guerre e alle tragedie dell’umanità, Francesco ha sostenuto che «è a partire dai cuori che la pace e lo sviluppo restano possibili perché, con l’aiuto di Dio, gli esseri umani sono capaci di giustizia e di perdono, di concordia e di riconciliazione, di impegno e di perseveranza nel mettere a frutto i talenti ricevuti».
Ha senso, facendo memoria di Francesco, parafrasare quanto aggiunse parlando dello scopo del grande evento di pace in Arena dell’anno scorso, dove a darsi appuntamento sono state centinaia di esponenti di comunità ecclesiali, società civile e movimenti di base: «Questo grande movimento di solidarietà – aveva detto il pontefice – mira a creare seminatori di cambiamento, promotori di un vero processo virtuoso di cultura della pace; compiti imprescindibili per camminare verso un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione.
Arena di pace
Il 18 maggio 2024 papa Francesco si è recato a Verona per partecipare ad Arena di pace e incontrare i movimenti popolari italiani. Dialogare con le realtà della società civile e in modo particolare con quelle che danno voce agli emarginati e ai poveri è stato uno tratti distintivi del pontificato di Francesco: le periferie – esistenziali, geografiche ed economiche – accolte al centro della Chiesa. Una traiettoria insieme religiosa, ecclesiale ma anche politica. Durante la manifestazione veronese il santo padre ha abbracciato Aziz Sarah e Maoz Inon, due imprenditori, uno palestinese e l’altro israeliano, che sono rimasti coinvolti in modo diverso nel conflitto che sconvolge il Medioriente e che hanno deciso di impegnarsi insieme per la pace.