
“Un rebus avvolto in un mistero inserito in un enigma”. Così a suo tempo Winston Churchill aveva definito l’Unione Sovietica. Lo stesso si potrebbe dire oggi dell’Etiopia e del suo primo ministro Abiy Ahmed.
Nessun analista, in effetti, sembra in grado di comprendere in quale direzione il gigante del Corno d’Africa e il premier in carica si stiano orientando. Sono molti a chiedersi tra l’altro: chi è veramente, cosa pensa, cosa vuole Abiy Ahmed?
A questo punto, comunque, un leader molto controverso se si considera lo scenario ingarbugliato in cui si trova il paese di oltre 120 milioni di abitanti: una federazione di stati a rischio di disgregazione; una situazione di conflittualità permanente tra gruppi etnici, stati-regione e milizie antigovernative; un primo ministro carismatico e pacificatore, protagonista di dialogo inter-etnico; il mediatore di pace tra le etnie maggioritarie – essendo di padre amhara musulmano e di madre oromo cristiano-ortodossa -; il protagonista dello (pseudo) accordo con l’Eritrea fruttatogli il premio Nobel ma trasformatosi – secondo molti – in guerrafondaio e traditore delle promesse.
Così viene visto oggi il primo ministro etiopico: una figura acclamata o denigrata, a livello sia interno che internazionale, a seconda di chi viene interpellato al riguardo.
In gran parte del paese, comunque sia, perdura l’instabilità, sull’orlo oggi che un ulteriore conflitto scoppi nel Tigray, benché non appaia in modo così evidente nella capitale che, al contrario, cresce a dismisura in nuovi edifici e assume il volto di tutte le grandi metropoli.
Un’analisi dello scenario odierno va fatta a tre livelli: interno, macro-regionale e internazionale.
Quadro interno
È il più imprevedibile. Da anni crea i maggiori grattacapi al governo, che tende comunque a sviare l’attenzione della comunità internazionale rivolgendola agli altri due livelli.
Prosegue senza apparente soluzione il conflitto antigovernativo in varie aree del paese: riguarda soprattutto lo stato Amhara, le diverse aree dello stato-regione dell’Oromia, la zona del Benishengul-Gumuz e la regione desertica dello stato-regione Somalo, confinante per l’appunto con la Somalia.
La milizia amhara FANO, che si schierò a fianco di Addis Abeba nel conflitto del 2020-2022 tra esercito federale e forze regionali del TPLF in Tigray, prosegue la sua offensiva contro Addis Abeba, da quando il governo di Abiy Ahmed aveva preteso che si integrasse nell’esercito di difesa nazionale (ENDF).
Mentre persistono gli scontri in vaste aree dell’Amhara, i FANO – secondo varie fonti -, godono dell’appoggio finanziario e logistico dell’Eritrea. Un fatto denunciato di recente dall’ex presidente etiopico Mulatu Teshome, secondo cui l’intento di Asmara è di veder scoppiare una nuova guerra interna in Tigray. Opinione peraltro smentita decisamente dal governo di Isaias Afwerki.
Al tempo stesso, come menzionato, si protraggono gli scontri e l’insicurezza negli altri stati-regione.
In merito al Tigray, dove i due anni di conflitto si erano chiusi con l’accordo di pace di Pretoria tra Makallè e Addis Abeba, ha fatto emergere negli ultimi mesi una spaccatura interna allo storico partito TPLF tra la fazione guidata dal presidente del partito Debretsion Gebremichael e quella del responsabile dell’amministrazione regionale provvisoria, Getachew Reda.
Una frattura aggravata dall’accusa, per ora scarsamente documentata, che la fazione di Debretsion sia appoggiata, come denunciato nella lettera di Mulatu, finanziariamente e militarmente dall’Eritrea, tradizionale acerrima nemica del Tigray e già sostenitrice dei FANO.
E dove molti segni lasciano presagire che, come menzionato, da un giorno all’altro possa deflagrare un nuovo conflitto interno. Questo non fa dormire sogni tranquilli ad Abiy Ahmed che non è mai riuscito, tra l’altro, a ottenere che le truppe eritree, tuttora stanziate nel nord del Tigray, lascino definitivamente l’area e rientrino nel loro paese in base all’accordo di Pretoria.
Quadro macroregionale
Altro rebus per gli analisti del Corno riguarda il posizionamento di Abiy Ahmed in relazione ai paesi più direttamente toccati dall’instabilità etiopica e dal rischio di nuovi conflitti. Egitto, Sudan, Eritrea e Somalia sono infatti, a livello più o meno rilevante, coinvolti nel panorama globale del Corno d’Africa e specificamente nei confronti dell’Etiopia.
Ha preoccupato certamente Abiy Ahmed l’accordo di cooperazione militare stabilito in ottobre 2024 tra Egitto, Eritrea e Somalia ad Ankara, con la mediazione del presidente turco Recep Tayyp Erdogan.
L’alleanza tripartitica stabilita ad Ankara in reazione all’accordo firmato tra Addis Abeba e la regione autonoma del Somaliland per garantirsi a Berbera un accesso al mare, ha avuto come suo obiettivo bloccare il presunto espansionismo politico-economico ma anche militare dell’Etiopia, percepito come una minaccia dai tre paesi.
L’alleanza tra Il Cairo, Asmara e Mogadiscio è stata poi riconfermata in un vertice svoltosi ad Asmara a inizio ottobre 2024 tra Abdel Fattah al-Sisi, Hassan Mohamud e Isaias Afwerki, in cui si è ribadita la volontà di garantire la difesa e il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dei paesi della regione.
Una conseguenza concreta del sodalizio tripartitico è certamente il passo indietro deciso da Abiy Ahmed riguardo all’implementazione dell’accordo con il Somaliland, al punto di ristabilire relazioni pacifiche con la Somalia, mediate sempre da Erdogan in un incontro tra Abiy Ahmed e Hassan Mohamud tenutosi ad Ankara lo scorso dicembre.
Le due parti avevano allora concordato di definire insieme intese bilaterali e commerciali che garantissero tra l’altro “all’Etiopia un accesso affidabile, sicuro e sostenibile al mare sotto la sovranità della Repubblica Federale di Somalia”, come si leggeva nel comunicato congiunto.
L’accordo è stato poi sancito il mese scorso ad Addis Abeba in un secondo incontro tra i leader dei due paesi, nel quale sono stati rilanciati i rapporti bilaterali relativi a cooperazione diplomatica, economica e di sicurezza.
Il più recente elemento positivo, che sembra confermare il rinnovato clima nel rapporto tra Etiopia e Somalia, è rappresentato dalla recente formazione della nuova coalizione di peacekeeping dell’Unione Africana (AUSSOM), composta da 11.900 unità, che include, per l’appunto, 2.500 soldati etiopici.
A rendere critica e complicata invece la relazione tra Egitto ed Etiopia continua ad essere l’assenza di un accordo tra Il Cairo e Addis Abeba sulla gestione delle acque del Nilo Azzurro. Il Cairo, che ritiene questione di vita o di morte la garanzia per la propria economia l’usufrutto delle acque del fiume, teme fortemente che una riduzione del livello del volume d’acqua causato dal riempimento dell’imponente diga etiopica della Rinascita (GERD) provochi effetti devastanti per il paese.
A questo va aggiunto, dal lato etiopico, il forte sospetto circa il presunto, reiterato sostegno che l’Egitto continua a offrire all’Eritrea.
L’attuale incertezza di Abiy Ahmed riguardo alla traiettoria politica e strategica da lui perseguita sembra volto a evitare un inasprimento dei rapporti con i vicini, che rischierebbe di compromettere il conseguimento di una certa stabilità politica, economica e militare in una delle aree più calde e strategiche del continente.
Altra ragione di preoccupazione per Abiy Ahmed riguardo all’Eritrea è il fatto che Asmara abbia ordinato il mese scorso la mobilitazione militare nazionale per tutti gli eritrei, uomini e donne sotto i 60 anni, con la proibizione assoluta di lasciare il paese a chi ha meno di 50 anni. Molti analisti si sono chiesti il motivo della nuova coscrizione obbligatoria in Eritrea.
Un’ipotesi è che sia nata dal timore di Asmara che l’Etiopia intenda lanciarsi in nuove avventure militari nei suoi confronti. In risposta, forse, alle parole del primo ministro etiopico che lo scorso novembre, in parlamento, sottolineava la necessità, per lo sviluppo del suo paese, di guadagnare ad ogni costo uno sbocco al mare, con mezzi pacifici ma minacciando anche l’uso della forza in caso questi non avessero avuto successo.
Peraltro, pur avendo in seguito fatto retromarcia rispetto alle forti parole usate da Abiy nell’occasione, era facile interpretarle in riferimento al porto eritreo di Assab, appartenuto all’Etiopia fino all’indipendenza eritrea nel 1991, e che da molti nazionalisti di etnia amhara è visto tuttora come oggetto di riconquista.
Da un lato Abiy sembrava con le sue parole tendere una mano alla minoranza politica di etnia amhara, tuttora molto influente, dopo averla tenuta sotto controllo da quando giunse al potere, convinto che sia indispensabile per Addis Abeba, date le sue enormi potenzialità inespresse, accedere in un modo o nell’altro al Mar Rosso o all’Oceano Indiano.
La seconda ipotesi riguardo al reclutamento eritreo – in linea con i timori espressi nella già menzionata lettera dell’ex presidente etiopico Mulatu riguardo alle presunte trame tra Asmara e la fazione del TPLF di Debretsion volte a provocare una guerra civile – è che Isaias Afwerki si proponga, come già spesso ha fatto, di intensificare l’attività di destabilizzazione dell’intero Corno d’Africa.
Quadro internazionale
L’annosa disputa territoriale tra Etiopia e Sudan a proposito della regione di al-Fashaga, confinante con gli stati-regione etiopici Amhara e Tigray, definita a suo tempo appartenente al Sudan pur se abitata e coltivata per molto tempo da agricoltori etiopici, e alla controversia per le acque del Nilo Azzurro che riguardano anche il Sudan, sono questioni relegate per ora in secondo piano in seguito al tragico conflitto che da oltre due anni affligge Khartoum.
Un’area importante come il Corno d’Africa non può evitare che siano coinvolti attori internazionali oltre a Egitto, Eritrea ed Etiopia di cui le prime due a fianco dell’esercito governativo di Abdel Fattah al-Burhan, mentre l’Etiopia appare schierata con le RSF (Forze di supporto rapido) di Mohamed Hamdan Dagalo (Hemeti), insieme agli Emirati Arabi Uniti.
Nessuna meraviglia, comunque sia, se le superpotenze e quelle di media levatura, che ritengono strategica la propria presenza nel Corno d’Africa, dovessero intervenire a favore o contro l’Etiopia e altri paesi della regione se la già grave instabilità dell’Etiopia dovesse sfociare in un nuovo conflitto civile simile a quello del Sudan.