
Mohamed Abuagla è uno studente di ingegneria civile originario di Omdurman. Il conflitto iniziato nell’aprile del 2023 tra l’esercito sudanese guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan e le Forze di supporto rapido (RSF) agli ordini di Mohamed Hamdan Dagalo, lo ha costretto ad abbandonare la sua casa e a spostarsi ad Al Abbasyah Tagali, nello stato del Kordofan Meridionale.
Sei anni fa Mohamed aveva iniziato a fare delle fotografie per passatempo. Poi, col passare degli anni e con il Sudan in preda al caos, la sua passione si è trasformata nell’esigenza di fermare attraverso l’obiettivo i rari momenti di sospensione, calma e “normalità” concessi dalla guerra.
Alcuni degli scatti di Mohamed sono esposti, insieme a quelli di altri otto fotografi sudanesi, nella mostra fotografica “Resistencia en la memoria: visiones de Sudán”, aperta al pubblico fino al 19 luglio alla Galería Sura di Madrid, all’interno della libreria Balqís, nell’ambito del Festival PHotoESPAÑA Off.
Di questi nove fotografi cinque sono scappati dal Sudan da quando è scoppiato il conflitto, due sono stati sfollati e altri due, nonostante tutto, sono rimasti a vivere nelle loro case. Quattro hanno meno di 25 anni, come Mohamed.
Gli scatti in mostra a Madrid raccontano le migliaia di vite spezzate da questa guerra. Dentro ci sono le storie di famiglie separate dalla brutalità delle armi: da un lato i figli che hanno scelto l’esilio, dall’altro i genitori asserragliati in casa ad attendere il loro ritorno. E ci sono i dialoghi interrotti: tra passato e presente, tra tradizione e modernità, tra generazioni che non possono scambiarsi più nulla né arricchirsi a vicenda.
Le fotografie esposte sono in totale 62, suddivise in cinque aree tematiche. La prima è dedicata alla rivoluzione del 2019, che spinse nelle piazze il popolo sudanese e che si concluse con la deposizione del dittatore Omar al-Bashir, e alle rivolte successive al colpo di stato del 2021 con cui i militari posero fine al governo guidato dal primo ministro Abdallah Hamdok.
La seconda area mostra gli scatti che ritraggono i sudanesi costretti a fuggire all’estero. La terza rivive il dramma degli sfollati interni. La quarta riflette sugli effetti devastanti di questa guerra e sul modo in cui irrompe ogni giorno nella sfera personale dei civili. La quinta aerea, infine, racchiude una speranza: che questo conflitto finisca al più presto, riconsegnando ai sudanesi le loro vite e il loro paese. Sullo sfondo aleggia la crisi senza fine del Darfur, risucchiata per l’ennesima volta in una spirale di violenza e ancora una volta presto dimenticata.
“Molte di queste persone non erano fotografi prima della rivoluzione e della guerra”, ha spiegato a El País la responsabile della Galería Sura Edith Arance che ha scovato gli scatti facendo delle ricerche sui social media. Chi con delle macchine professionali, chi con un semplice smartphone, tutti secondo Arance “hanno trovato nella fotografia un modo per esprimere le loro emozioni, le loro speranze, le loro paure”.
Altayeb Morhal, classe 1993 originario del Kordofan Settentrionale, è un fotografo, videomaker e narratore. Negli scorsi anni ha documentato le proteste del 2021, scattate dopo il golpe dei militari e presto represse nel sangue. A Nairobi, dove vive adesso, continua a raccontare attraverso vari registri la resilienza del suo popolo, costruendo ponti visivi tra il suo passato e il suo presente, la tradizione e la modernità.
Fakhr Aldein, classe 1998, originario di Karima nello stato del Nord, è fotografo e ingegnere elettronico. Ha lasciato Khartoum, la città in cui viveva, un mese dopo l’inizio della guerra trovando prima riparo a Port Sudan sul Mar Rosso, dove ha iniziato a fotografare la vita quotidiana delle famiglie sfollate, per poi trasferirsi a Dubai. I suoi scatti sono una metafora per descrivere il declino del suo paese: come l’agonia di una sigaretta accesa, destinata a ridursi in cenere.
C’è anche chi in Sudan è rimasto a vivere, nonostante gli orrori del conflitto. Come al-Mujtaba Ahmed (classe 1994) che non ha lasciato Omdurman, nemmeno nel momento in cui la città sembrava ormai destinata a soccombere sotto i colpi delle Forze di supporto rapido di Dagalo. Nelle sue foto c’è tutta la violenza di questa guerra, ma anche colori, vita, forza e speranza.
Anche Shaima Merghani (classe 1997), dottoressa e artista, non se n’è andata. Prima della guerra le sue foto catturavano i particolari della vita di strada di Omdurman. Adesso sono diventate l’ultimo spazio utile in cui in cui può sviluppare le sue idee, coltivare i suoi sogni e nutrire la speranza in un domani diverso.