Il ritorno della razza. Le radici di un grande problema politico contemporaneo
Libri
Andrea Graziosi
Il ritorno della razza. Le radici di un grande problema politico contemporaneo
Il Mulino, 2024, pp. 150, € 13,00
25 Marzo 2025
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti

È un termine che ha una certa età, razza. Una parola che però, diversamente da quel che si crede, non nasce con una connotazione negativa. Una parola che torna, dopo essere diventata tabù in Europa all’indomani della condanna delle politiche nazifasciste.

E dopo una presa di distanza che non ha però mai fatto davvero i conti con le evidenti differenze tra i popoli: differenze che vanno al di là del colore della pelle, del concetto di razza che viene sostituito con quello di etnia, giustificato sempre come positivo. Un tabù, quello europeo, che ha fatto venir meno una elaborazione intellettuale necessaria, e che di fatto ha impedito la realizzazione di politiche atte a maneggiare con lungimiranza le differenze.

Andrea Graziosi, mentre lavora a un libro più complesso su questo tema, ci propone un assaggio di quel che è il suo pensiero. Traccia in questo saggio la storia a partire dal mondo antico in cui non era il concetto di razza a determinare le differenze, ma quello di populus, gentes, ethnos.

Così, se per i greci era importante sì la discendenza etnica, è l’idea di populus romano, un’idea politica, che mette insieme più gentes, come una sorta di “associazionismo” di comunità differenti che davano vita a città nuove in cui convivere è conveniente, quella da cui discende la nostra storia.

Una storia che vede le diversità tra gli esseri umani legate inizialmente solo al clima, alle condizioni esterne, ambientali, che per forza di cose ci rendono differenti, anche nel colore, che però non legittima superiorità. Sarà solo in seguito che si farà strada l’idea di razza, di una umanità divisa in razze. Tra l’umanesimo e il rinascimento.

Saranno poi la segregazione, la tratta degli schiavi, il razzismo scientifico a cambiar tutto. Fino all’apice del tempo nazifascista, alla Shoah e al successivo ribrezzo verso un termine che si cerca di eliminare, perpetrando però la concezione etnica di una nazione che continua ad avere basi identitarie nel sangue e nella lingua.

Prerequisiti di purezza che fossilizzano le appartenenze e i riconoscimenti tra queste, dimenticando il significato politico del populus. In un tempo in cui, Graziosi prende come spartiacque il 1972, i tassi di fecondità europei scendono, e le migrazioni iniziano in vari paesi dell’Europa occidentale.

Ma sarà proprio questo tramandare come principio di comunità l’etnia fondata sulla discendenza a ostacolare il passaggio storico successivo. Intrappolati in un nazionalismo che continua a seguire la linea del colore, a temere la “sostituzione etnica”, fatica ad affermarsi l’unico criterio su cui può realmente può fondarsi la costruzione di una nazione: l’adesione a una legge comune, che naturalmente produce con il tempo legami culturali e identitari.

Servono anticorpi, tra cui la cultura politica non è certo secondaria, per ribadire quella che pare diventata solo a parole una ovvietà: la razza è una, le differenze reali tra le persone sono e devono essere oggetto di analisi e costruzione di società differenti.


Nel mondo però la razza è tornata, e prepotentemente, come colore, e lo ha fatto spesso come rivendicazione identitaria, orgogliosa e dapprima dal basso dei “colorati”, i peoples of color come vengono chiamati negli Stati Uniti …Il fatto che il processo della diffusione e del prestigio del concetto si sia per così dire rovesciato, e che lo abbia fatto spesso in nome di ideali nati dalla critica delle ingiustizie del presente, non lo rende tuttavia né meno falso né meno pericoloso, così come è falso e pericoloso il populismo etnicista tornato con prepotenza in Europa (pp. 148/149)

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