Immigrati: il Consiglio di Stato condanna il Viminale - Nigrizia
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Sentenza sulla sanatoria Bellanova: il ministero dell’Interno e la prefettura di Roma colpevoli dei ritardi
Immigrati: il Consiglio di Stato condanna il Viminale
27 Febbraio 2025
Articolo di Jessica Cugini
Tempo di lettura 5 minuti

Un ritardo ingiustificato, strutturale, per il quale i chiarimenti del ministero dell’Interno non hanno fatto altro che far “emergere l’adozione di adeguate misure organizzative solo a distanza di circa tre anni dall’entrata in vigore del richiamato provvedimento legislativo”. Così il Consiglio di Stato condanna il Viminale.

Sarà pure intervenuto, ma troppo tardi, per una decisione che comunque era a costo zero. Per cui, ribaltando completamente quanto aveva stabilito il Tar del Lazio. Il Consiglio di Stato condanna il ministero dell’Interno e la prefettura di Roma per l’inefficienza della sanatoria 2020, con cui dovevano emergere dalla irregolarità le persone immigrate che si trovavano a lavorare nel nostro territorio.

Andiamo con ordine e cerchiamo di ricostruire i fatti. La sanatoria del 2020 era la cosiddetta sanatoria Bellanova, prendeva il nome dal cognome della ministra dell’Agricoltura di allora. La sanatoria non era uno strumento nuovo, si era iniziato ancora nel 1986, e poi era diventato, nello scorrere degli anni, il solito modo di procedere per cercare di regolarizzare le persone che lavoravano e lavorano in maniera irregolare in Italia.

Partorita nel maggio del 2020 per far emergere un numero di persone allora stimato tra le 500-600mila, impiegate nei settori dell’agricoltura, dei servizi domestici e dell’assistenza alla persona. Era di fatto stata presa d’assalto da queste ultime voci. Sottolineando come c’era nel nostro Paese un sommerso di lavoro di cura che rispondeva a un’esigenza reale.

Continuava però a essere l’avariato frutto di una ennesima non scelta, che continuava a lasciare le persone immigrate senza permesso di soggiorno; per l’irrazionalità conclamata di non voler dar vita a una normativa seria sugli ingressi e sui soggiorni, normativa che ancora oggi latita, o meglio dovremmo scrivere è presente con quella farsa dei Decreti flussi che non funzionano, come abbiamo riportato anche qualche settimana fa.

Tre anni di ritardi

Il flop fu subito evidente. Ne abbiamo scritto negli anni più volte, con dati alla mano, diffusi dalla campagna Ero straniero, che sin dall’inizio si è preoccupata e occupata di monitorarne l’efficacia. Il fallimento stava tutto nei numeri, a distanza di oltre un anno, era già evidente che la sanatoria fosse da sanare: solo una persona straniera su quattro aveva in mano il permesso di soggiorno.

Su 230mila domande presentate, ai primi di agosto 2021 risultavano rilasciati solo 60mila permessi dal ministero dell’Interno, appena il 26% del totale delle richieste. A febbraio del 2023, le pratiche per la regolarizzazione straordinaria delle cittadine e cittadini stranieri che erano arrivate a termine erano ferme al 37,7% del totale. 83.032 i permessi.

In tutto questo tempo le persone che dovevano accedere a un permesso e lavorare in maniera regolare non riuscivano a farlo. Nonostante tutti i percorsi intrapresi per emergere da quello che in Italia è il reato di “clandestinità”, rimanevano fuorilegge, continuando a lavorare spesso sfruttati. L’irregolarità era di fatto regolarizzata dalla mancanza di uno Stato.

Le denunce e la class action

Oltre il monitoraggio continuo da parte di Ero straniero, più volte erano arrivate le denunce di ASGI, Oxfam Italia, Spazi Circolari, Cild, Progetto Diritti, Nonna Roma e Attiva Diritti. Realtà che hanno promosso una class action, presentando i dati della campagna per 2.103 pratiche pendenti presso la prefettura di Roma.

Nonostante monitoraggi e denunce, il tempo ha continuato a scorrere e sono stati necessari ben tre anni per arrivare alla fase di convocazione, in attesa del parere di questura e/o Ispettorato territoriale del lavoro.  Nonostante, ASGI (Associazione studi giuridici per l’immigrazione) ricordi come la legge imponga “alla prefettura di dover comunque decidere entro e non oltre 180 giorni, anche in assenza dei suddetti pareri”.

Un ritardo non banale, che il Consiglio di Stato ha infatti sottolineato nella sua sentenza. Perché quel ritardo ha contribuito comunque a tenere le persone nel continuo limbo della irregolarità e della ricattabilità. Senza averne alcuna responsabilità, avendo di fatto compiuto tutti i passi richiesti per poter emergere da quello status.

Un ritardo, questo delle risposte alle persone migranti che aspettano, non nuovo e ripreso nelle motivazioni della sentenza: “Un simile dato denota una non episodica od occasionale inefficienza, non dovuta a limiti strutturali, ma unicamente ad una organizzazione e gestione dei procedimenti del tutto avulsa dalla considerazione del fattore temporale”.

La condanna del Viminale, la vittoria delle associazioni

Tutte parole che non solo sottolineano una “decisione storica” per i promotori dell’azione collettiva, ma riconoscono valore allo strumento della class action, del mettersi insieme per rivendicare diritti.

Un’azione che restituisce giustizia davanti a una mancanza governativa e sottolinea la necessità di una correzione al funzionamento della macchina amministrativa in quel settore del diritto dell’immigrazione che spesso è sotto scacco proprio per via delle macchinose leggi che non permettono l’emersione delle persone e l’esercizio reale del loro diritto alla regolarità.

“Questa importante sentenza lancia un messaggio che incoraggia il ricorso alle azioni collettive strategiche da parte di un crescente gruppo di soggetti della società civile che vedono nei ritardi e nelle inadempienze della pubblica amministrazione uno snodo cruciale della sistematica violazione dei diritti delle persone straniere, ma non solo”, commenta ASGI.

“Tra queste, ad esempio, i ritardi delle ambasciate italiane nel mondo nel rilascio dei visti di ingresso per motivi familiari, già denunciati in una recente interrogazione parlamentare e nel progetto Annick, i ritardi nel rilascio del permesso di soggiorno, i ritardi nella formalizzazione della domanda di asilo, ecc.”.

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