
È un contributo doppio, quello che le persone immigrate che lavorano nel settore domestico in Italia versano. Un apporto economico importante che rimane nel nostro paese, sostenendo così il sistema pubblico, sociale e previdenziale, e uno che raggiunge i paesi d’origine di chi qui risiede e invia una parte del denaro guadagnato a casa.
Un doppio valore: l’invio di denaro è infatti uno degli strumenti attraverso il quale le persone migranti sostengono e rafforzano le economie dei propri paesi e anche la nostra, attraverso il pagamento delle tasse, in un paese sempre più anziano, che fatica a mantenere un saldo attivo tra la popolazione in età lavorativa e non.
Stando ai dati diffusi dal rapporto di Domina, l’Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, la componente regolarmente assunta dalle famiglie italiane, nel 2023, ammontava a 574mila lavoratrici e lavoratori di origine straniera, pari al 68,9% del totale degli occupati in questo settore. Persone che pagano le tasse in Italia e da cui derivava, nel 2023, un contributo al PIL pari a 15,8 miliardi (lo 0,8%).
Persone che allo stesso tempo inviano una parte del loro denaro in patria, contribuendo al sostentamento delle proprie famiglie d’origine e di conseguenza però anche ai PIL dei rispettivi paesi. Questo contributo, secondo quanto stabilito dalla Banca d’Italia che monitora i trasferimenti tracciabili di denaro all’estero, nel 2024 ammontava a 8,3 miliardi di euro.
Una cifra sottostimata, perché il denaro passa non solo attraverso conti bancari o money transfert ma anche tramite il contante che spesso, in maniera non tracciata, arriva a destinazione quando qualche componente della famiglia o conoscente torna in patria.
Il report racconta che, al 1° gennaio 2024, il valore pro-capite delle rimesse partite dall’Italia era di 131 euro mensili; con dei valori massimi tra i cittadini e le cittadine del Bangladesh, che riescono a inviare 604 euro medi pro-capite. Seguiti da Pakistan e Filippine, con valori superiori a 300 euro mensili pro-capite, e staccati di molto, perché nettamente sotto la media, dai paesi del Nordafrica (Marocco, Tunisia, Egitto) e da quelli dell’Est Europa (Moldavia, Ucraina, Romania).