In Africa l’elefante si evolve per difesa - Nigrizia
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Il 12 agosto è la Giornata internazionale del’elefante
In Africa l’elefante si evolve per difesa
Il pachiderma originario dell’Africa e dell’Asia è sempre più minacciato. Dall’azione invasiva dell’uomo sul suo habitat e dai cambiamenti climatici ma soprattutto dal bracconaggio per l’avorio. Allo studio degli scienziati una mutazione delle femmine che, per sopravvivere, non sviluppano le zanne
12 Agosto 2021
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi, Kenya)
Tempo di lettura 5 minuti
Elefante africano della foresta
Elefante africano di foresta

Il 12 agosto è la giornata mondiale dell’elefante. Istituita nel 2012, ha lo scopo di sottolineare l’importanza degli elefanti negli ecosistemi che costituiscono il loro habitat, di diffondere informazioni e aumentare il livello di consapevolezza sulle numerose minacce alla loro specie e di condividere esperienze di gestioni positive degli elefanti in cattività e allo stato brado.

Gli elefanti sono tra gli animali in pericolo, sia in Africa che in Asia, continenti di cui sono originari e in cui ancora vivono le tre varietà esistenti: l’elefante asiatico, l’elefante africano di foresta e l’elefante africano di savana. Secondo L’Unione internazionale per la conservazione della natura (International union for conservation of nature – Iucn), l’elefante asiatico e l’elefante africano della savana sono in via di estinzione; l’elefante africano della foresta è invece solo in grave pericolo, perché anche la sua popolazione si sta riducendo velocemente.

Diverse sono le cause che ne minacciano l’esistenza, tra cui gli effetti dei cambiamenti climatici, e la progressiva scomparsa del loro habitat a causa dell’espansione delle attività umane e delle aree abitate e del diffondersi di infrastrutture “invasive” come le grandi strade asfaltate e le linee ferroviarie. Ma il pericolo maggiore è costituito dal bracconaggio per il traffico dell’avorio delle loro zanne.

Si calcola che un elefante africano venga abbattuto illegalmente ogni 30 minuti, nonostante che il commercio dell’avorio sia stato bandito nella maggior parte del mondo a partire dagli anni Ottanta. Anche la Cina, in cui tradizionalmente l’avorio è molto richiesto, lo ha proibito nel dicembre del 2017. Ma queste misure, applicate anche in modo severo da diversi paesi – in Kenya, ad esempio, periodicamente vengono bruciate in modo pubblico cataste formate da tonnellate di zanne confiscate ai trafficanti – non sono servite a limitare il bracconaggio.

Secondo calcoli di organizzazioni ambientaliste accreditate, ormai nel mondo sono rimasti meno di 500mila elefanti, circa 415mila si trovano in Africa e 40mila in Asia. Sono stime risalenti al mese di aprile di quest’anno.

Il pericolo di estinzione è tanto grave che la stessa natura sta cercando di porvi riparo: se l’avorio è il pericolo maggiore alla sua sopravvivenza, per evoluzione naturale l’elefante sta perdendo le zanne.

Secondo un articolo pubblicato già nel novembre del 2018 dal National Geographic, in zone particolarmente interessate nel passato dalla caccia, una buona percentuale di elefanti ora non hanno zanne. Succede, ad esempio, nel parco nazionale Gorongosa, in Monzambico, devastato dalla guerra civile che durò 15 anni e finì nel 1992. I diversi gruppi combattenti si finanziavano con l’avorio delle zanne e si cibavano della carne dei pachidermi.

Gli elefanti furono quasi sterminati: ne sopravviverebbero poche centinaia dei 4mila che abitavano la zona alcuni decenni fa. Delle 200 femmine adulte rilevate dai naturalisti, il 51% di quelle che hanno più di 25 anni, nate cioè durante la guerra, è senza zanne. E hanno passato la particolarità anche alle più giovani, che pure non hanno zanne nel 32% dei casi. Normalmente, solo dal 2% al 4% delle femmine non le sviluppa.

Un fenomeno anche più appariscente si osserva nel parco nazionale degli elefanti, l’Addo park, in Sudafrica. All’inizio degli anni 2000, il 98% delle 174 femmine allora presenti non aveva le zanne. Stessa situazione nel Ruaha park in Tanzania, un tempo paradiso dei bracconieri: il 35% delle femmine più vecchie è senza zanne, e anche il 13% delle loro “figlie”.

In altre zone in cui il bracconaggio ha devastato le greggi dei pachidermi, le zanne sono più piccole. Succede, ad esempio, nel sud del Kenya, dove si è osservata una diminuzione del 20% nei maschi e del 30% nelle femmine e la caratteristica si può osservare anche nei loro discendenti.

Ovviamente sono necessari studi molto più estesi ed approfonditi per dire che si tratta di un’eredità genetica destinata a trasmettersi alle nuove generazioni. Ma studi fatti su altri mammiferi hanno accertato che lo sviluppo dei denti, e in particolare degli incisivi, equivalenti alle zanne per gli elefanti, dipende grandemente da questioni genetiche ed è trasmissibile.

I naturalisti si chiedono, però, quali siano le implicazioni della perdita delle zanne. Osservano che gli animali che presentano questa caratteristica sembrano essere in buona salute. Ma si preparano ad approfondire i loro studi per capire se, per caso, non sia cambiato il loro comportamento.

Le zanne sono infatti importanti per la nutrizione e anche per la ricerca dell’acqua. Vengono usate per strappare i rami o abbattere gli alberi di cui si nutrono e per scavare il terreno alla ricerca dell’acqua. In questo modo facilitano anche la sopravvivenza di altri animali più piccoli che pure se ne servono.

Ora, probabilmente, si muovono in un territorio più vasto e dove è possibile trovare acqua superficiale. Ma questi comportamenti possono avere una grande influenza sull’ecosistema.

Ѐ dunque importante studiarli approfonditamente in modo da poter osservare in modo attivo la nascita di un nuovo equilibrio. Anche i genetisti hanno molto da studiare. Infatti non è chiaro perché la perdita delle zanne interessi quasi esclusivamente le femmine.

Molti interrogativi, dunque, che riguardano un processo evolutivo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, come molto raramente è successo.

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