La segregazione razziale. Qualcosa che l’Italia considera ufficialmente scomparso dai propri territori dalla fine della Seconda guerra mondiale. Oppure non è così?
Attraverso una fitta indagine che lo porta attraverso tutta l’Italia, Leonardo Palmisano, sociologo e autore di diversi lavori su caporalato, mafie e sfruttamento lavorativo, rompe un tabù ancora imperante nella rappresentazione dei fenomeni migratori italiani: quello che l’Italia abbia un oggettivo problema di apartheid.
Termine che ai più può sembrare forzato, e che richiama al Sudafrica pre-Mandela, o agli Stati Uniti degli anni ‘50. Ma che, come emerge dalla moltitudine di voci che compone il mosaico che è ItaliApartheid, ha una sua comprovata ragion d’essere anche nel nostro contesto.
Questo fenomeno, dalle pagine di Palmisano, si configura come lo specchio del razzismo sistemico che consente di perpetuare un vantaggioso sistema di sfruttamento della manodopera offerta da persone non regolarizzate e quindi senza diritti.
E alcune zone del nostro paese, come Borgo Mezzanone, nel Foggiano, sono la prova di questo sistema di apartheid non dichiarato ma finemente costruito. L’autore, con un linguaggio che non si cura di indorare la pillola, compie un certosino ruolo di tessitura di tutte le testimonianze raccolte.
Perché a parlare, a manifestare la strutturalità dell’esclusione a cui si sentono condannate sono proprio le persone migranti coinvolte. Che, di volta in volta, si aprono e si raccontano. Raccontano il razzismo attraverso i dolori e le ferite di vite passate al margine.