Fra Kabila e gli USA, guerra e pace in Rd Congo - Nigrizia
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Mentre la costosa pace a guida statunitense si avvicina, il governo cerca di respingere il ritorno dell'ex presidente
Fra Kabila e gli USA, guerra e pace in Rd Congo
L'ex capo di stato potrebbe essere processato per crimini di guerra e contro l'umanità
02 Maggio 2025
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 8 minuti
L'allora presidente Kabila (a sinistra) con il presidetne rwandese Paul Kagame. (Crediti: Flickr/Paul Kagame)

Sono ore febbrili per la politica della Repubblica democratica del Congo. Sul fronte estero, si attende la pubblicazione di due bozze di accordo di pace fra Kinshasa e Kigali, una per ogni governo: la settimana scorsa i due paesi si sono impegnati a presentarle oggi 2 maggio nell’ambito di un processo di pace negoziato in primis da Stati Uniti e Qatar.

L’intesa vuole mettere un freno alle violenze nel nord-est congolese, epicentro di un’offensiva ribelle che rappresenta l’ultimo capitolo di 30 anni di conflitti e instabilità, ma promette anche di rimettere in gioco gli Stati Uniti nella corsa con la Cina alle risorse del ricco sottosuolo congolese.

Sul fronte interno, la maggioranza di governo è sempre più determinata a escludere dalla scena politica l’ex presidente Joseph Kabila, tornato in patria all’inizio del mese scorso dopo anni di silenzio e almeno due di autoesilio all’estero, e a farlo anche con strumenti legali.

L’ex presidente ha detto di essere rientrato in Rd Congo per contribuire alla risoluzione della crisi di sicurezza che attanaglia il paese. Per il governo invece, l’ex leader ne sarebbe uno dei responsabili, in combutta con i ribelli, sostenuti dal Rwanda, e con i loro sponsor politici congolesi. L’ex capo di stato rilancia però, è di concerto con i principali leader delle opposizioni propone un nuovo dialogo nazionale.

Povera patria 

La premessa è che le schermaglie politiche avvengono sulla pelle dei congolesi, che sono stanchi di decenni di insicurezza ma anche di povertà e mancanza di servizi essenziali, come denunciato da diverse realtà della società civile locale.

Il paese, 2,3 milioni di chilometri quadrati nel cuore dell’Africa, il secondo per estensione del continente dopo l’Algeria e fra i più ricchi al mondo in quanto a sottosuolo e biodiversità, è squarciato da una guerra nel nord-est che ha costretto almeno 5,6 milioni di persone a lasciare le loro case e a diventare sfollati interni (più di 6,5 milioni secondo alcune fonti).

Centinaia di migliaia i nuovi sfollati a causa di quest’ultima fase finale di conflitto poi, cominciata con il lancio di un’offensiva da parte del gruppo armato M23 nel novembre 2021 e culminata con la presa delle più importanti città del nord-est della Rd Congo – Goma e Bukavu- fra gennaio e febbraio scorsi.

Per la Banca mondiale, più di sette congolesi su 10 vivono al di sotto della soglia di povertà di 2,15 dollari al giorno; sei congolesi su 10 vivono in una condizione di povertà multidimensionale – indice che misura l’accesso a sanità, istruzione e servizi di base – stando ai dati delle Nazioni Unite.

Cronache di Kabila 

In questo contesto si assiste all’ultima saga della politica congolese che coinvolge Kabila. L’ex presidente si è dimesso nel 2018 dopo 17 anni al potere. Kabila si è dato alla macchia non molto dopo, a seguito del fallimento di una parentesi di coalizione col suo successore, l’attuale presidente Félix Tshisekedi, per poi lasciare il paese nel 2023 e ritirarsi in autoesilio.

L’ex capo di stato è poi intervenuto dalle colonne del quotidiano sudafricano Sunday Times lo scorso febbraio, settimane dopo la presa di Goma da parte dell’M23 e dell’Alleanza del fiume Congo (AFC), gruppo politico-militare congolese alleato alla milizia. Dal paese dell’Africa australe, quello dove avrebbe passato la maggior parte del suo autoesilio, l’ex presidente ha definito l’Rd Congo un «sistema pronto a implodere» e ha accusato Tshisekedi e la sua dispotica gestione del potere di essere i principali responsabili della crisi dell’M23 nel nord-est, anche più della stessa milizia e del Rwanda che la sostiene.

L’ex presidente è tornato nel paese a inizio aprile. Per farlo avrebbe scelto la strada del nord-est e sarebbe stato visto nella Goma occupata dall’M23 e dall’AFC, pure se rispetto a questo non ci sono conferme e anzi persone vicine all’ex leader hanno smentito questa versione dei fatti. Il particolare non è irrilevante, perchè un eventuale passaggio per una città occupata dalla milizia potrebbe costituire alto tradimento agli occhi delle autorità congolesi. 

Non che non ci sia già sufficiente carne al fuoco. Le prime settimane del ritorno di Kabila in Rd Congo sono state a dir poco intense. Il ministero della giustizia ha avviato un procedimento giudiziario e congelato le proprietà del politico in Rd Congo accusandolo di complicità con la ribellione nel nord-est. Ordini di limitazioni degli spostamenti sono stati spiccati ai danni suoi e di tutti gli esponenti del suo partito, il Partito popolare per la ricostruzione e lo sviluppo (PPRD), le cui attività sono poi state bandite.

L’ultimo capitolo nell’offensiva contro Kabila è di questi giorni. Le forze armate hanno chiesto al Senato di rimuovere l’immunità che gli spetta in quanto senatore a vita ed ex presidente per poterlo processare per «crimini di guerra, crimini contro l’umanità e partecipazione a un movimento insurrezionale», stando a quanto riferito ai giornalisti dal ministro della giustizia, Constant Mutamba. 

L’eredità di Kabila è molto complessa così come è ampia e variegata la sua rete di influenze nel paese. Quel che è certo è che uno dei principali promotori dell’offensiva nel nord-est, il leader dell’AFC, Corneille Nangaa, è legato Kabila. È stato l’ex capo di stato a nominarlo presidente della Commissione elettorale nazionale indipendente (CENI) nel 2015, ruolo da cui Nangaa avrebbe favorito a suon di brogli l’elezioni di Tshisekedi nel 2018.

Secondo alcune indiscrezioni, questo sarebbe avvenuto proprio nell’ambito di un patto fra l’attuale presidente e il suo predecessore. Nangaa, proprio come Kabila, e poi entrato in rotta di collisione con il presidente. Il resto è storia e l’ex massimo dirigente dell’organo elettorale è ora a Goma a guidare la ribellione. 

La pax americana non è gratis 

Le evoluzioni appena descritte avvengono mentre si susseguono i negoziati e in tentativi di accordi fra Tshisekedi e Kagame. Collassato il processo di Luanda a guida angolana, le speranze arrivano dal negoziato gestito dal Qatar, che a sorpresa ha messo i due presidente a sedere attorno allo stesso tavolo per la prima volta dopo anni lo scorso marzo.

L’emirato è riuscito anche a far interloquire il governo congolese direttamente con l’M23. Kinshasa si era sempre rifiutata di parlare direttamente con i ribelli, considerandoli un gruppo terrroristico e niente altro che un gruppo armato proxy del Rwanda. 

Il canale a mediazione qatarina si è poi sovrapposto a quello sotto l’egida USA. La settimana scorsa rappresentanti del governo congolese e rwandese hanno firmato una dichiarazione di principi in sei punti che entro oggi si dovrebbe tramutare in due bozze separate di accordo di pace (mentre si scrive questo articolo non ci sono aggiornamenti in questo senso).

L’intesa tocca temi fondamentali come il ristabilimento delle reciproche sovranità territoriali, la gestione della sicurezza e dei gruppi armati non statali, il rientro dei profughi congolesi. Al punto terzo, ci si propone di superare le armi alimentando l’integrazione economica regionale. La conditio sine qua non è che questo avvenga con il pesante coinvolgimento di investimenti USA, pubblici e privati.

In ballo ci sono immense riserve di coltan e stagno (nel nord-est) e di rame e cobalto se ci si allarga a tutta la Rd Congosi tratta del grande tesoro della transizione energetica. E c’è anche molto altro, dai diamanti all’oro.

Come anticipato a Reuters dall’inviato di Washington nei Grandi Laghi, Massed Fares Boulos, la firma definitiva dell’accordo di pace verrà accompagnata dalla stipulazione di due intese parallele per l’accesso ai minerali, uno con Kinshasa e uno con Kigali. Gli USA tentano così di garantirsi l’accesso a risorse da cui sono stati parzialmente estromessi da un accordo che proprio il governo di Kabila aveva firmato con la Cina nel 2008, recentemente rinegoziato. Il patto permetteva a Pechino di mettere le mani su cobalto e rame in cambio di progetti infrastrutturali su larga scala. 

Nuove opposizioni 

I piani però qui tornano a intersecarsi, quelli interni e quelli esterni. Se le mediazioni a guida Washington sembrano proseguire a ritmo serrato, Kabila e altri oppositori di alto profilo come Martin Fayulu (il vero “vincitore” delle elezioni del 2018), Moïse Katumbi e Delly Sesanga hanno deciso di coalizzarsi per chiedere un dialogo interno al paese, da pensare alternativo, o forse in sostituzione, di quello che si dipana fra Doha e Washington. Un’idea mutuata in parte dal Patto sociale per la pace e la convivenza che la Chiese cattolica e protestante hanno proposto nei mesi scorsi.

I dirigenti dell’opposizione hanno iniziato ad avvicinarsi lo scorso novembre, accomunati dal rifiuto del piano di riforma della Costituzione caldeggiato da Tshisekedi. Adesso, pur riconoscendo il «significativo progresso» verso la pace a cui si assiste nelle ultime settimane, affermano che questo da solo «non costituisce una base sufficiente per una soluzione definitiva e duratura» ai problemi del paese.

«Un dialogo interno – sostengono i quattro politici – è essenziale per consentire al popolo congolese di identificare le cause profonde, interne ed esterne, della crisi e trovare soluzioni durature».. E tra queste cause interne si possono menzionare «la violazione intenzionale della Costituzione», «la cattiva amministrazione» e «la limitazione delle libertà fondamentali». Insomma, una stoccata precisa a chi governa a Kinshasa. 

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