
2.437 casi di cancro in due anni nelle regioni semiaride del nord-est del Kenya, quelle al confine con la Somalia. 650 solo nei primi mesi di quest’anno. Erano stati 440 nel 2023. Nel 2024 se ne sono registrati 1.347, più del triplo.
Nella maggioranza dei casi è stato colpito l’esofago, circostanza che, dicono gli esperti, fa pensare a sostanze tossiche ingerite in notevole quantità. Sono dati pubblicati dal Regional Cancer Centre (Centro regionale per il cancro) che funziona come presidio per le 10 contee settentrionali del paese e le zone confinanti con la Somalia.
Rifiuti tossici e scorie radioattive
Una vera e propria emergenza sanitaria, denunciata dai governatori delle contee interessate, Garissa e Wajir. Nathif Jama, governatore di Garissa, ha collegato pubblicamente e chiaramente l’aumento preoccupante dei casi di tumore nel territorio sotto la sua giurisdizione alle voci di scorie radioattive scaricate nelle zone rurali della zona, aggiungendo che proprio le comunità rurali, le più vulnerabili, sono le più devastate.
Ne ha parlato in un’audizione davanti al Comitato per l’ambiente dell’Assemblea Nazionale, chiedendo un’inchiesta urgente per individuare le cause del preoccupante aumento dei casi di cancro e per identificare le responsabilità.
Il suo intervento è stato supportato da Mohammed Adow, parlamentare, rappresentante di una località della contea di Wajir, che pure ha nominato esplicitamente l’interramento nella zona di scorie radioattive contenute in container. Ha citato numerosi testimoni locali che hanno lavorato per le compagnie incaricate di seppellirli.
Da tempo si parla in Kenya di rifiuti tossici e scorie radioattive interrate nelle regioni semiaride del paese. Il governatore di Garissa ha esplicitamente chiesto che finalmente si faccia luce sulla questione perché per ora non si è arrivati a capire come, e con l’autorizzazione di chi, si sia potuto verificare un simile crimine ambientale.
Un articolo del Daily Nation pubblicato nell’aprile dell’anno scorso dice che le voci riguardanti tali pericolose, ma lucrose, attività risalgono al tempo del regime di Daniel Arap Moi, cioè gli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo.
I testimoni
Le testimonianze sarebbero molteplici. A partire dagli anziani della zona, a quel tempo giovani vigorosi, che dicono di essere stati ingaggiati per scavi che dovevano essere fatti in fretta, tanto che li impegnavano tutta la settimana, nonostante la zona desertica e il clima inclemente, in cui le temperature potevano raggiungere i 40 gradi. Purtroppo, però, non sono in grado di dire che cosa contenevano i container che venivano interrati, perché non erano capaci di decifrare le scritte che vi si trovavano.
Ma c’è un altro testimone che, a quanto pare, conosceva bene cosa c’era in quei contenitori. È Cyrus Jirongo, ministro dello Sviluppo rurale nel 2002, l’ultimo anno del regime di Moi. Durante un’intervista rilasciata nel 2024 ha dichiarato che il governo di cui faceva parte aveva sanzionato l’interramento di scorie radioattive nelle regioni nordorientali del paese, e in particolare proprio nei territori di quelle che ora sono le contee di Garissa e Wajir.
Ha detto che un avvocato con buone connessioni con l’élite politica di quel periodo gli aveva mostrato documenti che confermavano l’attività e rimandavano a funzionari, o politici, del ministero dell’Energia.
Jirongo ne avrebbe parlato direttamente con Moi. Gli avrebbe detto che venivano rilasciate autorizzazioni per prospezioni petrolifere che coprivano l’interramento di scorie tossiche. Visti i documenti, Moi si sarebbe infuriato.
Non è chiaro se dopo le proibizioni governative le attività si siano interrotte. Sta di fatto che 30 anni dopo se ne vedrebbero i risultati per la salute pubblica.
L’inchiesta prosegue
Il comitato parlamentare per l’ambiente, dopo l’audizione, ha deciso di proseguire l’inchiesta per accertare cosa è successo nella zona nord-orientale del paese negli ultimi anni del secolo scorso, un periodo in cui mancavano una legislazione appropriata e una diffusa consapevolezza del pericolo costituito dalle scorie tossiche e radioattive.
La contea di Wajir avrebbe già fatto pervenire un memorandum in cui sarebbero state raccolte numerose testimonianze e le indicazioni di dove i contenitori sospetti sarebbero stati seppelliti. Mohammed Adow, parlamentare della contea, ha chiesto qualcosa in più di una semplice inchiesta, ma l’impegno a bonificare la zona e a trovare e punire i colpevoli.
Il presidente del comitato, Vincent Kawaya, ha stigmatizzato la non presa in carico del problema negli anni scorsi e ha sottolineato il pericolo per la sicurezza nazionale di simili attività. «Questa è una materia che avrebbe dovuto suscitare l’attenzione dei militari e non solo del ministero della Salute perché è una questione di sicurezza…». È chiaro, infatti, che le scorie provengono da paesi stranieri. Ma quali?
I casi di Eritrea e Somalia
Vedremo se qualcosa si muoverà davvero dopo una simile pubblica denuncia nella più alta sede istituzionale del paese.
Voci sui traffici di rifiuti tossici e radioattivi depositati nel mare e sul territorio dell’Africa orientale sono state numerose e ricorrenti. Riguardano l’Eritrea, e in particolare la Dancalia, come hanno denunciato fin dal 2010 esponenti di un’organizzazione di opposizione della popolazione locale, gli Afar, la Red Sea Afar Democratic Organization (RSADO). «Nostre fondi credibili interne dicono che il governo eritreo ha permesso la discarica di scorie radioattive e di rifiuti industriali tossici provenienti da paesi stranieri sul suolo e nelle acque dell’Eritrea».
Se ne è parlato anche per la Somalia nell’inchiesta per l’omicidio a Mogadiscio della giornalista Ilaria Alpi e del suo collega Miran Hrovatin. I due stavano indagando su un traffico di rifiuti tossici e di armi in cui sarebbero state coinvolte istituzioni italiane. Non a caso, a trent’anni di distanza, la vicenda non è ancora stata chiarita.
Chi, in quegli anni, frequentava la zona, può testimoniare di frequenti e inspiegabili morie di pesci, che destavano la preoccupazione della popolazione, che vive di pesca, e la curiosità di giornalisti e scienziati.