
La prima donna, la prima persona proveniente dall’Africa nonché l’atleta olimpica più vincente nella storia del continente. Ma anche la esponente di un governo accusato di violare sistematicamente i diritti umani e di cui diversi membri, fra i quali il presidente Emmerson Mnangagwa, sono sottoposti a sanzioni.
L’elezione a massima dirigente del Comitato olimpico internazionale (CIO) della ex campionessa di nuoto e ministra dello sport dello Zimbabwe, Kirsty Coventry, è da considerarsi storica. I motivi, come accennato, sono diversi e anche controversi.
Complessi del resto, saranno sicuramente anche gli anni che l’attendono alla guida del più importante organismo sportivo internazionale. Sotto la sua gestione, che avrà una durata di otto anni, ricadono infatti le Olimpiadi di Los Angeles 2028. In un contesto geopolitico così disordinato e teso, i giochi in casa del presidente Donald Trump sono considerati un appuntamento irto di insidie.
Profilo di una vincente
Meglio andare per gradi. Chi è Kirsty Coventry? Quarantuno anni, nativa della capitale Harare e originaria di una famiglia bianca, descritta però come di condizione umile, la nuova presidente del CIO è abituata a fare la storia. Già nel 2000, ancora minorenne, fu la prima nuotatrice dello Zimbabwe a raggiungere una semifinale olimpica, a Sidney. Un traguardo che le valse il premio di donna sportiva dell’anno nel paese africano. Quattro anni più tardi, ad Atene, sarebbero arrivate tre medaglie fra cui un oro nei 200 metri dorso. Palmares allargato a otto medaglie, con un totale di due ori, dopo l’edizione di Pechino del 2008. Come detto, la bacheca più ricca di sempre per un atleta olimpico africano.
Oltre a essere una sportiva di primo livello, Coventry è anche ministra della gioventù, lo sport e l’arte dello Zimbabwe dal 2018, riconfermata per un secondo mandato dopo le controverse elezioni del 2023. La dirigente sportiva non è però membro del partito che sotto varie diciture controlla il paese dal 1980, l’Unione Nazionale Africana di Zimbabwe – Fronte Patriottico (ZANU-PF), ed è catalogata come indipendente.
La sua designazione a presidente del CIO è arrivata come una sorpresa. La votazione, che si è svolta in un resort nel Peloponneso, nel sud della Grecia, è giunta già al primo turno, con 45 voti su 97. Partita finita per gli altri cinque candidati, tutti uomini. Secondo con 28 preferenze è arrivato lo spagnolo Juan Antonio Samaranch Jr, vice presidente in carica nonché figlio di un ex presidente del CIO, Juan Antonio Samaranch. Terzo, con appena 8 voti, il britannico Sebastian Coe.
Quest’ultimo era da dato per favorito da molti alla luce del suo curriculum: due volte oro olimpico nei 1500 metri piani, presidente dal 2015 della federazione internazionale di atletica leggere World Athletics, organizzatore delle olimpiadi di Londra 2012, ex deputato, Lord della corona. Ma non è bastato.
Secondo diverse ricostruzioni, Coventry sarebbe riuscita a vincere dopo aver ottenuto il sostegno del presidente uscente, il tedesco Thomas Bach, alla guida del Comitato dal 2013 e prossimo a diventarne presidente onorario. Avrà pesato anche il voto degli atleti che fanno parte del CIO – che ha una composizione piuttosto articolata – e delle donne, che su un totale di 110 membri sono 48. Mai in 131 anni di storia infatti, una persona che non fosse un uomo era arrivata al ruolo di presidente.
«Oggi i soffitti di cristallo sono stati infranti – ha affermato Coventry dopo la vittoria – e sono pienamente consapevole delle mie responsabilità come modello». La neoeletta presidente ha commentato inoltre: «Sono particolarmente orgogliosa di essere la prima presidentessa donna del CIO, e anche la prima proveniente dall’Africa. Spero che questo voto sia di ispirazione per molte persone».
Governo e opposizioni unite
Il governo di Harare si è felicitato con l’atleta per bocca del vice presidente Constantino Chiwenga, che ha elogiato la «carriera illustre» e «la dedizione» di Coventry, motivo di ispirazione per «molti abitanti dello Zimbabwe e atleti di tutto il mondo». Le congratulazioni sono arrivate però anche da parte dell’opposizione, dal partito della Coalizione dei cittadini per il cambiamento (CCC) all’ex leader di questa formazione e ancora punto di riferimento per chi è contrario al governo, Nelson Chamisa.
La campagna elettorale della presidente è stata ritenuta da molti non particolarmente incisiva però. Eppure i temi caldi non mancavano. Dalle modalità di inclusione degli atleti e le atlete trans nelle competizioni internazionali – tema particolarmente caldo per i governi conservatori o populisti come quello USA – alla questione della partecipazione di atleti provenienti da paesi in rotta con la maggior parte della comunità internazionale, le questioni complesse da gestire sono innumerevoli. Nei giorni scorsi il CIO ha anche iniziato ad affrontare la questione delle limitazioni al rilascio di visti verso alcuni paesi paventato dall’amministrazione Trump, in vista dei giochi di Los Angeles.
Coventry porterà con sè però un vissuto e un’esperienza unico, in questo scenario sulfureo. Lei stessa proviene, ed è anzi ministra nel governo, da un paese parzialmente isolato dalla comunità internazionale. Lo Zimbabwe è sottoposto a sanzioni internazionali da anni. Il governo ha spesso accusato i paesi che hanno imposto queste penalità di essere i principali responsabili della crisi economica che attanaglia il paese da decenni. Secondo fonti di Harare, le misure punitive, imposte per la prima volta nel 2002, sarebbero costate al paese circa 150 miliardi di dollari.
Un paese paria
Da qualche anno il regime di sanzioni imposto da Ue e Stati Uniti, a esempio, è cambiato ed è stato alleggerito. Washington continua però ad applicare limitazioni nei confronti di 11 individui di alto rango, fra i quali il presidente Mnangagwa, il vice presidente Chiwenga e il ministro della Difesa Oppah Muchinguri. L’Ue invece, continua a imporre un embargo alla vendita di armamenti e sanzioni al settore locale della difesa.
Le misure sono state rinnovate, anche se appunto in una versione meno estesa, anche alla luce delle elezioni del 2023, ritenute non regolari secondo tutti i maggiori osservatori internazionali. Incapace di ripagare il suo debito inoltre, Harare è esclusa da oltre 20 anni dalla possibilità di ricevere finanziamenti dalle istituzioni finanziare internazionali.
In un’intervista alla testata sportiva del New York Times, The Athletic, Conventry ha toccato il tema dello Zimbabwe parlando del comportamento da osservare con paesi come la Russia. La dirigente ha premesso: «Ci sono conflitti in tutto il mondo. In Africa, ne stiamo vedendo sempre di più. Penso che abbiamo bisogno di una task force dedicata che esamini il modo migliore per supportare gli atleti nelle aree di conflitto.
In definitiva, il modello di solidarietà del CIO è che cerchiamo di portare ogni atleta qualificato ai Giochi». E successivamente, parlando della sua esperienza personale: «So che quando ho vinto le mie medaglie, lo Zimbabwe stava attraversando una lotta di potere molto dura e sarebbe stato molto facile per la comunità sportiva internazionale dire che non avremmo riconosciuto i vostri atleti. Non avevo voce in capitolo. Penso che gli atleti dovrebbero essere in grado di rimanere neutrali? Sì».
In effetti, proprio gli anni in cui Coventry ha iniziato a vincere le sue medaglie sono state segnati da alcune delle più controverse politiche del governo dell’allora presidente Robert Mugabe, al potere dal 1980 al 2017, deceduto nel 2019. Proprio in quegli anni la comunità internazionale iniziò ad adottare le prime sanzioni, soprattutto in risposta agli espropri violenti di terra – soprattutto ai danni dei coltivatori bianchi – e della repressione politica.
Non da ultimo, una controversia che ha riguardato Coventryy è legata proprio a Mugabe. Fu il presidente, nel 2004, a consegnarle 100mila dollari di premi per le sue imprese olimpiche. Normale amministrazione in molti paesi però, forse inutile da sottolineare, secondo il quotidiano sudafricano Daily Maverick, che evidenziandolo sembra voler anche criticare il racconto della elezione della Coventry che è stata fatta da parte dei media occidentali., «in particolar modo britannici».