
A 82 anni, il Presidente della repubblica ivoriana Alassane Ouattara si candiderà o no alle prossime elezioni presidenziali per un 4° mandato? Nessuno lo sa.
Il gioco delle parti per ora prevede le seguenti posizioni: il diretto interessato dichiara di non aver ancora sciolto le riserve, ma di essere in buona salute per un altro quinquennio al potere. Il suo partito, l’RHDP (Unione degli houphouettisti per la democrazia e la pace) lo ha già definito “il suo candidato naturale’’. I vari partiti d’opposizione sono concentrati più sulla loro organizzazione interna.
Sembrerebbe una bega interna da lasciare ai parlamentaristi ivoriani, ma è una faccenda molto delicata che va ben al di là degli scranni dei deputati. Cinque anni fa si era già proposta in termini simili, con esiti drammatici. Tra il 2019 e il 2020, Ouattara tenne tutti in suspense per mesi. Poi, si decise a ‘’passare la torcia ad una nuova generazione’’, frase rimasta celebre nel campionario verbale del Paese. Come suo successore, scelse il suo più fedele alleato, Amadou Gon Coulibaly. Ma il sogno presidenziale di quest’ultimo venne fatalmente interrotto da un infarto a meno di quattro mesi dalle elezioni.
A quel punto Ouattara, si ributtò nella mischia, non senza attirare le ira dell’opposizione. Che gli criticavano, non a torto, di violare il limite dei due mandati previsti dalla nuova costituzione. Ouattara cavillò, argomentando che era stato lui stesso a far passare il nuovo testo costituzionale nel 2016, e che quindi da allora, il conto dei mandati ripartiva da zero.
Logica discutibile. L’opposizione chiamò il bluff e alle proteste in strada. Il bilancio ufficiale fu di almeno 87 morti e 484 feriti dovuti ai disordini di piazza repressi dalle forze dell’ordine. Alla fine la spuntò Ouattara.
Dal 2024, è tornato il dibattito sulla candidatura. Stavolta in ballo c’è il suo 4° mandato, anche se nessuno contesta più la questione costituzionale. Semmai, si propone, per l’ennesima volta, il tema par excellence della politica ivoriana: il rinnovo mancato della classe politica.
Dagli anni ‘90, la Costa d’Avorio è stata dominata da un trio di personalità alla guida dei rispettivi partiti: Alassane Ouattara, Laurent Gbagbo e Henri Konan Bédié. Per ora, solo la caducità della vita sta imponendo un inizio di ricambio; Bedie, leader storico del PDCI (il Partito democratico della Costa d’Avorio è morto a 89 anni nel 2023. Mentre il 79enne Gbagbo e l’82enne Ouattara restano saldi al vertice delle loro formazioni politiche. Quello ivoriano resta un caso di studio di processo politico congelato.
Nell’intervista che segue, Severin Yao Kouame, sociologo dell’Università Alassane Ouattara di Bouake, ci aiuta a decodificare cosa si muove sotto traccia.
Cosa sta aspettando a Ouattara a prendere una decisione e ad annunciarla?
Ha bisogno di garanzie. Per lui passare il testimone significa correre il rischio di vedere messi in discussione i suoi quasi quindici anni di governo. Non vuole trovarsi nella posizione di cedere il potere e poi ritrovarsi nei guai a causa della sua gestione passata. Vuole trovare un suo successore che non abbia alcuna intenzione di aprire la “scatola nera” del suo operato.
Perché tutto il suo percorso per arrivare al potere e tutti questi anni di esercizio del potere non si sono svolti senza, talvolta, urtare certe regole della buona governance e altri principi. Il problema è che, fino ad oggi, a parte Gon Coulibaly (il suo delfino designato alla successione nel 2020 e poi morto d’infarto a tre mesi dalle elezioni presidenziali, ndr) – che era l’uomo giusto, l’uomo di fiducia su cui poteva contare – nessuno gli dà garanzie sufficienti di poter esercitare il potere senza creargli problemi per almeno dieci anni.
Oggi, questa è davvero la chiave di lettura per comprendere le decisioni di Alassane Ouattara: ha trovato l’uomo di fiducia che gli offre tutte le garanzie necessarie? Lui si sente rassicurato?
A inizio anno, aveva dichiarato che il suo partito, l’RHDP, disponeva di una mezza-dozzina di candidati capaci di prendere il suo posto. Tra di loro c’è qualche profilo favorito?
Ci sono personalità come il vice-presidente, suo fratello minore [attualmente Ministro della difesa] etc. Penso che l’idea sia trovare qualcuno che abbia un minimo di rappresentatività, ma senza fargli ombra. Questa è la vera questione: bisognerebbe entrare nella testa di Ouattara per capire a che punto è questa ricerca. Penso addirittura che, se sua moglie Dominique Ouattara non fosse stata bianca, a un certo punto avrebbe scelto proprio lei. Perché, in fondo, è l’unica persona di cui si fida davvero e attraverso la quale potrebbe esercitare il potere per procura.
Laurent Gbagbo è ancora un avversario politico da temere? Ha 79 anni, ma sembra molto più affaticato dall’età rispetto a Ouattara, di 3 anni più grande.
Gbagbo è stato sottoposto a condizioni carcerarie che l’hanno fisicamente debilitato. È stato detenuto per lunghi mesi [da metà aprile al 29 novembre 2011, quando è stato trasferito all’Aia] nella città di Korhogo. Anche questo fa parte della strategia di Ouattara: senza eliminare politicamente o economicamente, distrugge sul piano sanitario. Gbagbo ne sta pagando il prezzo.
Eppure la base del partito di Gbagbo, il PPA-CI (Partito dei Popoli africani-Costa d’Avorio), insiste affinché lui resti alla guida. Perché?
Credo che, nella lettura dello spazio politico, il suo schieramento parta dal presupposto che nessun altro, se non lui, possa affrontare Ouattara. Quindi, in attesa forse di passare il testimone, anche se indebolito, resta comunque uno spauracchio che può essere messo di fronte a Ouattara, giusto per mantenere la sfida.Tutto qui.
Ma, in realtà, Gbagbo non è qualcuno in grado di governare un paese per cinque o dieci anni. Anche se detenendo le redini del potere avrebbe accesso a tutte le cure possibili, è evidente che fisicamente e intellettualmente non è più la stessa persona.
Per molti, il ritorno in Costa d’Avorio di Gbagbo nel 2021 e la morte di Bédié nel 2023 lasciavano presagire un ritorno ad una competizione più equilibrata tra partiti, dopo dieci anni di dominio del RHDP di Ouattara. Vede segni in questo senso?
Nella società ivoriana c’è una stanchezza diffusa. C’è un’intera generazione cresciuta in un contesto di crisi: tutte queste persone nate negli anni ‘90, o nei primi 2000, non hanno conosciuto altro che violenza politica ed elettorale. E sono persone per le quali non esiste una vera cultura politica e a cui l’offerta politica non dice nulla.
Credo che sia proprio qui che i partiti tradizionali abbiano fallito: non sono riusciti a rinnovare la base elettorale. Ma in realtà questo solleva un problema più ampio di cittadinanza. Manca una cultura politica e una cultura della cittadinanza, su cui nessuno ha lavorato, perché per anni il paese è stato travolto dalle crisi.
I politici hanno invece puntato sulle divisioni comunitarie, utilizzando discorsi basati sull’esclusione per mobilitare le persone. Ma oggi questo non funziona più. I giovani, che oggi sono i nuovi elettori, hanno richieste sociali semplici: vogliono semplicemente vivere, esistere economicamente, poter trovare un lavoro. Nessuno crede più nella scuola, nessuno crede più nella parola pubblica, nessuno crede più nello Stato. E tutti questi elementi contribuiscono alla debole partecipazione politica.
Tra i paesi della regione, la Costa d’Avorio è esposta a due modelli di cambiamenti di rottura: quello di riforma democratica da parte del Senegal (che è passato comunque per un alto tasso di disobbedienza civile e scontri letali con le forze dell’ordine) e quello delle giunte militari di Mali, Burkina Faso e Niger, stretti nell’Alleanza degli stati del Sahel, AES. Che impatto hanno questi due esempi sullo spazio politico ivoriano?
L’impatto è debole perché è come se ci trovassimo in un processo politico quasi mummificato dalle personalità presenti e dall’intero sistema. Ma esiste una sorta di terza via. La stanchezza sociale diffusa potrebbe essere ricettiva a qualsiasi nuova forma di cambiamento dell’ordine politico che potrebbe emergere. Questo è possibile. Tuttavia, non c’è una dinamica di riappropriazione locale.
Non si agisce perché, anche chi cerca di animare lo spazio politico – le poche persone che tentano di incarnare una rottura – non hanno la stessa capacità di ingegneria politica di Pastef (il partito outsider guidato da Ousmane Sonko che è riuscito ad imporsi in Senegal, ndr). E questo significa che non hanno il tempo di costruirsi politicamente come ha fatto il Pastef.
Inoltre, il contesto socio-politico del Senegal non è quello della Costa d’Avorio. Perché serve un terreno fertile, che è costituito da un ordine politico e democratico esistente. È ciò che ha permesso al Pastef di svilupparsi. Figure come gli ex-Presidenti senegalesi Macky Sall o, prima ancora di lui, Abdoulaye Wade, hanno tentato di rallentare il processo. Ma c’era comunque un terreno fertile, fatto di cultura sindacale ed associativa su cui movimenti come il Pastef hanno potuto prosperare.
Da noi, invece, tutto ciò non esiste. Non c’è né una cultura associativa, né sindacale. Quindi, è difficile costruire una rete politica dal basso che permetta a queste figure di emergere.
Pensa che a qualche militare ivoriano possa venire voglia di imitare l’esempio di AES?
Dubito fortemente che ci possa essere un colpo di forza in quel senso. Blindare l’apparato militare, assicurarsene il controllo, è uno dei principali successi politici di Ouattara. Credo che in questo ambito sia piuttosto difficile vedere emergere una figura simile a Ibrahim Traoré come in Burkina Faso.
Ma non si può mai sapere; in queste situazioni nulla è mai garantito al 100%.