La donna dai piedi nudi - Nigrizia
Libri
Scholastique Mukasonga
La donna dai piedi nudi
Utopia, 2024, pp. 139, € 18,00
28 Gennaio 2025
Articolo di Brando Ricci
Tempo di lettura 3 minuti

Prima di qualsiasi altra cosa, la Donna dai piedi nudi di Scholastique Mukasonga è quello che la stessa scrittrice ci dice essere: «Mamma, non ero lì a ricoprire il tuo corpo, io, e mi restano soltanto delle parole – parole di una lingua che tu non capivi – per compiere ciò che avevi chiesto. Sono sola con le mie misere parole, e queste mie frasi, sulle pagine del quaderno, tessono e ritessono il sudario del tuo corpo assente».

Coprire il corpo al momento della morte era un compito che la madre della scrittrice aveva dato alle sue figlie quando erano giovani ma che queste non hanno potuto eseguire. Stefania, questo il nome della protagonista del libro, è stata una delle centinaia di migliaia di persone rimaste uccise nel genocidio dei tutsi che si è verificato in Rwanda nel 1994.

La violenza di quei giorni è sfiorata in alcuni passaggi mentre in altri la scrittrice confida di non volerne parlare, anche perché lo ha già fatto in altre sue opere. La follia del 1994 però, gira ellitticamente attorno alle vicende del libro come una profezia oscura e appena accennata ma che torce il segno delle cose, trasformando un vezzo fisico in un futuro segno di riconoscimento per i miliziani o un desiderio di futuro in un rimpianto.

Al centro del libro c’è però il calore di una narrazione che si impone e che ridà vita e identità a persone e cose a cui la violenza non le può togliere, almeno non fino a che ci sarà la voglia di narrare.

Sembra essere anche questo, parte del senso del libro di Mukasonga, scritto nel 2008 ma pubblicato in italiano per la prima volta l’anno scorso da Utopia: se le parole non possono che essere «misere» davanti a certi eventi della storia, la presa di atto della forza della narrazione è potente. Anche come resistenza alle narrazioni coloniali invece, che hanno deturpato la realtà a colpi di passati mitici – e di altrettante mitiche etnie che ne sarebbero derivate, come i tutsi– diventate poi condanne della storia.

La vita di Stefania è infatti quella dei tanti e delle tante tutsi che sono stati deportati nell’arida regione del Bugesera dopo il 1959, anno della cosiddetta “rivoluzione hutu”. In questo contesto ostile, la forza di Stefania e delle altre donne della comunità non viene meno. Lo testimoniano i tanti momenti di quotidianità raccontati da Mukasonga, frammenti di esistenza in cui Stefania aveva spesso un ruolo di leader, di guardiana: dalla preparazione della birra di sorgo alla cura delle malattie fino ai consigli e i pareri sulle giovani promesse spose del villaggio di esuli.

Sono storie che svelano usanze a volte dure, privazioni – rese spesso ancora più stridenti dal confronto con i mezzi degli evolué che si relazionano con i bianchi – ma sono anche testimonianze del desiderio di dignità che non cessa mai di muovere i personaggi che animano il libro. E poi ci sono anche le tradizioni che si possono spezzare quando è il senso di compartecipazione umana a prevalere, come in uno degli ultimi episodi raccontati nel testo: uno struggente omaggio alle donne del Rwanda.

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