L'attesa infinita: diritto d'asilo in ostaggio - Nigrizia
Migrazioni Politica e Società
La morte di un uomo davanti alla Questura di Roma richiama l’attenzione sulle condizioni dei richiedenti asilo in Italia
L’attesa infinita: diritto d’asilo in ostaggio
Segnalate da anni le code interminabili delle persone straniere di fronte agli Uffici Immigrazione. Mesi di attesa, regole sempre più restrittive e prassi illegittime: la burocrazia italiana sta erodendo il diritto d’asilo.
30 Gennaio 2025
Articolo di Arianna Baldi
Tempo di lettura 6 minuti

Di attese di fronte alla questura si può morire? È la domanda circolata in questi giorni dopo la notizia di una persona morta di freddo di fronte alla questura di Roma, nella notte tra il 27 e il 28 gennaio. Un uomo che sulle prime è stato ritenuto un richiedente asilo, in fila come tanti altri già dalla notte precedente nella speranza di ottenere un appuntamento per la richiesta di protezione internazionale. Secondo quanto dichiarato dalla questura stessa, si tratterebbe invece di un cittadino comunitario senza fissa dimora, la cui presenza nella zona non era determinata da ragioni burocratiche. Pare che avesse semplicemente posto lì il suo giaciglio.

La storia del suo ritrovamento ha fatto il giro del web in poche ore, portando alla mobilitazione diverse realtà che si occupano di inclusione e della tutela legale delle persone migranti. E nonostante la realtà dei fatti si sia rivelata pian piano differente rispetto a quella supposta e diffusa da molti inizialmente, questo non ha fermato l’ondata di indignazione che si è sollevata contro la situazione delle questure.

Una storia verosimile 

Se la vicenda ha avuto questa eco, è perché il fatto che un richiedente asilo fosse morto di freddo a furia di aspettare di poter ottenere un appuntamento, non è parso strano a nessuno. “Era una cosa assolutamente credibile”, commenta a Nigrizia Giovanna Cavallo, attiva presso lo sportello legale di Roma Legal Aid e parte della campagna di monitoraggio permanente #Paradossi, supportata dalla Fondazione Migrantes. “La vicenda è stata un po’ strumentalizzata, ma poteva capitare benissimo. Stiamo vivendo una situazione di grandissima compromissione del diritto d’asilo.”

Le tempistiche delle questure 

La cornice di tutto questo è forse difficile da comprendere per chi non si occupa da vicino di migrazioni e non ha una percezione strutturata di come funzionano i labirinti burocratici italiani per le persone migranti. A partire dal fatto che quando si arriva in Italia, possono passare 6-7 mesi prima di poter avere l’appuntamento necessario semplicemente a finalizzare la propria richiesta di protezione internazionale, attraverso quello che viene definito il ‘modulo C3’. Nel caso specifico di Roma, secondo Legal Aid, passano circa 12 mesi solo tra la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno e l’appuntamento per il fotosegnalamento.

Le cause del malfunzionamento

Le ragioni di queste tempistiche farraginose sono molteplici, tra le quali anche una carenza effettiva di personale all’interno delle questure. Vi si aggiunge poi lo scarso appeal della posizione da ricoprire, che porta a un continuo riciclo di personale dentro agli uffici, con continui rallentamenti nello smaltimento delle pratiche, come raccontava a marzo dello scorso anno ai microfoni di Nigrizia Ahmed Salama Bechri, mediatore culturale che ha lavorato in diverse questure d’Italia, intervistato per il podcast Oltre l’approdo. Storie di (dis)integrazione.

Un problema strutturale

Ma oltre a queste ragioni meramente pratiche, ci sono cause più strutturali. E tra queste, anche la continua erosione del diritto d’asilo, menzionata poco sopra. “Il fatto è che ai richiedenti asilo che arrivano tramite gli sbarchi si aggiunge una forte presenza di persone appartenenti a quelli che noi definiamo “flussi in autonomia”. Persone che vivono in una condizione di invisibilità ancora maggiore e che non vengono conteggiate. I casi sono molteplici: si pensi a chi, per esempio, era titolare della protezione speciale e, ora che non può più rinnovarla, deve ricominciare l’iter della richiesta d’asilo da capo, per poter ottenere un documento.”

È l’effetto del Decreto Cutro, che dallo scorso anno ha reso un vicolo cieco la strada delle persone titolari di protezione speciale, ora non più rinnovabile né convertibile. Una condizione che abbandona le persone in un limbo di marginalità, dal quale possono uscire solo provando a ripercorrere la strada a ritroso, sperando di avere fortuna.

Non si tratta di piccoli numeri: secondo i dati di Fondazione Ismu, nel decennio tra il 2012 e il 2022, la protezione speciale, prima nota come ‘umanitaria’, era quella più largamente concessa, e nel 2022 in Italia rappresentava il 55% delle protezioni rilasciate, che nel 2022, complice anche lo scoppio della guerra in Ucraina, ammontavano a circa 200mila.

“Non dimentichiamo neanche tutte le persone frutto di movimenti secondari. Chi era sbarcato magari in Sicilia e dopo un periodo lì si è spostato a Roma. Chi è arrivato via terra e non solo, in un altro paese europeo e nonostante il patto di Dublino, prova comunque a presentare domanda qui. E infine tutte le persone che sono arrivate in Italia tramite Decreto Flussi, ma che non hanno potuto finalizzare le procedure di riconoscimento dei documenti perché il datore di lavoro è sparito, o li ha sfruttati”, continua Cavallo.

La situazione nelle città italiane 

Ma gli appuntamenti disponibili sono sempre pochi. E così ci si accampa, dalla sera prima, da giorni prima, per non perdere il posto. E si torna più e più volte. Anche perché spesso vengono messe in atto diverse prassi illegittime che portano a un perenne rinvio. Come la prassi diffusa di chiedere la dichiarazione di ospitalità per il rilascio del permesso di soggiorno, requisito non previsto dalla norma di legge ma spesso posto come necessario da molte questure.

Non si parla infatti solo di Roma, ma di tutta Italia. Nulla di nuovo sotto il sole: a Milano, già nel gennaio del 2023 erano scoppiate le proteste per le code interminabili, dopo che il 23 gennaio erano scoppiati dei disordini tra le 700 persone in coda davanti all’Ufficio di via Cagni e la polizia aveva risposto con i lacrimogeni.

Nel novembre dello stesso anno, Asgi segnalava che l’Ufficio immigrazione della questura di Roma riceveva mediamente solo 10-15 persone al giorno, rimandando le altre al giorno successivo. Secondo gli ultimi dati di Legal Aid, si parla ora di circa 30-40 persone a giornata, numeri comunque irrisori.

Da Torino segnali di speranza?

A Torino sono anni che viene denunciato il malfunzionamento. Sempre Asgi parla di evidenti e “gravi violazioni di legge” da parte della Questura di Torino, mentre lo scorso ottobre la Cgil ha definito “indegna” la situazione delle persone accampate di notte fuori dall’Ufficio Immigrazione.

Nelle ultime settimane l’attenzione mediatica è salita, con diverse organizzazioni di volontariato che si apprestavano a fornire supporto con tè caldo e coperte, un’iniziativa messa in campo anche a Verona dai volontari e dalle volontarie della Caritas.

Nel capoluogo piemontese, un segnale positivo è arrivato il 27 gennaio, quando è stata inaugurata una nuova sede per sveltire le pratiche, che prevede anche un rifugio per evitare che le persone attendano fuori al freddo. Un passo in avanti che tuttavia non esaurisce la criticità della situazione.

…un cambiamento?

In questo panorama, non sorprende allora l’attenzione che si è levata per i fatti accaduti di fronte alla Questura di Roma e le conclusioni, in alcuni casi affrettate, tratte da alcune realtà che si occupano di immigrazione.

Lo stato di vessazione causato dall’invisibilità in cui vivono molte persone straniere in Italia richiede ormai una svolta che non trova compimento nelle singole azioni individuali, ma che richiede un intervento strutturale. “Forse dopo questa morte qualcosa cambierà”, termina Cavallo, alla fine della telefonata. “Al di là di chi fosse realmente quella persona, e del perché si trovasse lì, forse qualcosa cambierà”.

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