
La cosiddetta guardia costiera libica è da anni nel mirino delle organizzazioni umanitarie, dei media internazionali e dei partiti di opposizione di varie nazioni europee.
Si è scritto molto sul ruolo, anche criminale, di questa struttura. Stando solo a casa nostra, inchieste come quelle dei giornalisti Nello Scavo e Nancy Porsia hanno messo in luce le distorsioni dei fondi inviati ai suoi vertici e le responsabilità in mare dei guardacoste nel fermare, anche in modo violento, i migranti.
Oltre all’Italia, anche altri paesi europei l’hanno finanziata. Ad esempio, la Germania ha stanziato 45 milioni di euro per programmi di formazione della guardia.
Nel complesso, l’Unione Europea ha messo a disposizione 700 milioni di euro a sostegno della Libia dal 2015, utilizzando vari strumenti di finanziamento, tra cui il Fondo fiduciario di emergenza dell’Ue per l’Africa.
I fatti di Zuara
Ma i fatti accaduti la settimana scorsa a Zuara – città costiera situata nella parte occidentale della Libia e che dista circa 120 km da Tripoli – confermano i sospetti sulle attività criminali dei guardacoste libici.
Cos’è successo? Su mandato della Procura generale sono stati arrestati 4 militari della guardia costiera con l’accusa di aver pianificato il trasporto illegale di 37 migranti attraverso il Mediterraneo e di essere stati protagonisti di un conflitto a fuoco con agenti del Servizio di investigazione criminale che stavano tentando di far saltare il progetto criminale. Uno di questi agenti è stato ferito.
La Procura ha avviato un procedimento penale anche contro il funzionario responsabile della guardia costiera a Zuara .
Nel frattempo, i migranti sono stati trasferiti in centri di non detenzione, in attesa che i loro casi vengano esaminati.
Fosse comuni
Le notizie che giungono dal paese nordafricano sono sempre più drammatiche per chi tenta di arrivare sulle sue coste nella speranza di trovare un’imbarcazione per attraversare il Mediterraneo.
Non solo sono ostaggi dei guardacoste. Non solo sono torturati nei centri illegali di detenzione. Ma molti di loro muoiono anche nell’attraversare il deserto libico. E non solo per le condizioni estreme che sono costretti ad affrontare.
Le autorità libiche hanno riferito, infatti, che lo scorso fine settimana sono stati trovati 49 cadaveri in due fosse comuni. Stando ai mezzi d’informazione locali, una di queste fosse con 19 corpi è stata scoperta il 7 febbraio in una fattoria nell’area di Jikharra, nel nordest del paese.
L’organizzazione al-Abreen, che aiuta i migranti nella Libia orientale e meridionale, ha affermato che alcune delle vittime sono state uccise da colpi di arma da fuoco prima di essere sepolte.
La seconda fossa, con almeno 30 corpi, è stata rinvenuta in una zona desertica vicino a Kufra, a quasi 700 km di distanza dalla prima. In base ai racconti dei sopravvissuti, il responsabile della sicurezza dell’area, Mohamed al Fadeil, ha fatto sapere che potrebbero essere quasi settanta le persone sepolte nel secondo sito.
Chiesti sempre più soldi all’Italia
E mentre si rincorrono notizie sempre più tragiche sul destino dei migranti, il ministro degli interni di Tripoli, Emad Al-Trabelsi, ha avuto un incontro, domenica 9 febbraio, con l’ambasciatore italiano, Gianluca Alberini. Incontro nel quale l’ex capo delle milizie di Zintan ha chiesto a Roma l’ennesimo sostegno economico. Denaro fondamentale, a suo dire, per rendere possibili i programmi di rimpatrio volontario dei migranti e per il rafforzamento delle capacità delle forze di sicurezza.
«Stiamo lavorando per aumentare il ritmo delle operazioni di rimpatrio volontario», ha affermato Al-Trabelsi, sollecitando al contempo un maggiore sostegno internazionale per questi sforzi.
Resta un punto interrogativo su che fine farà questo eventuale flusso di denaro.