
Maxim Samson, da geografo qual è, apre con questo libro una nuova prospettiva al nostro concetto di confini; facendo comprendere come quelle linee che pensiamo essere definite, che crediamo di vedere tutte tracciate nelle varie mappe e che spesso determinano la distinzione di tanti “noi” e loro”, di possibilità di movimento, siano molto più delle linee di demarcazione spaziale, fisiche e politiche che siamo abituati a studiare a scuola.
Perché se tracciare linee, da sempre, in tutto il corso della storia, passata e presente, ha in qualche modo risposto alla necessità umana del controllo, del potere, della definizione di identità e appartenenze; le linee, anche e soprattutto quelle invisibili, influiscono sul nostro subconscio, hanno implicazioni profonde sul nostro modo di pensare e interagire.
Perché non esiste un solo tipo di confine, sebbene è questo che ci viene insegnato fin dalle elementari, ma tanti confini, spesso invisibili e capaci si sovvertire quelle che erano le intenzioni di chi invece ha pensato di tracciare linee di demarcazione con scopi che poi non sono stati raggiunti.
Samson, per aiutare chi legge, a seguire questa sua teoria, individua cinque modalità di funzionamento delle linee invisibili e all’interno di ciascuna modalità espone sei esempi.
Racconta di trenta linee dunque, che aiutano a comprendere come funziona il pianeta, a partire dall’Equatore e dai due poli, spaziando fino alla cintura malarica; che si propongono e si sono proposte di controllarlo, il pianeta, partendo da esperienze concrete, com’è stata ad esempio la gestione della pandemia di Covid-19 o la zona di esclusione di Chernobyl.
Perché quando ci sono fenomeni inaspettati che sfuggono al controllo, occorrono nuovi confini, che chiudano, separino, difendano.
Ma tra le 30 linee troviamo anche quelle che sono state tracciate per permettere ai poteri di rivendicare territori come propri, alterando in questo modo le vite di chi non si sente parte, oppure legittimando identità solo per il fatto di starci dentro a quel confine, che spesso è anche minimo e corrisponde a un quartiere.
Perché non importa l’ampiezza, bensì il senso di appartenenza che ne deriva. Perché i confini possono anche essere informali, ma a fargli prendere forma e a tracciarli, rendendoli reali, spesso sono le persone che li vivono come effettivi ed escludenti. Come quelle linee capaci di marcare il “noi” e loro”.
Samson lo spiega: «Le differenze percepite possono diventare reali, fisiche, mediante la costruzione di barriere… e anche quando una barriera tangibile e concreta viene rimossa, la percezione della variazione e della disparità può persistere ancora a lungo».
Spesso poi, rafforzare le differenze percepite tra gruppi umani è funzionale a quel potere che queste differenze le cavalca per poter governare. Soprattutto quando sono religiose e possono essere vissute come minaccia. D’altra parte la religione da secoli è uno dei principali strumenti di separazione.