
Di attacchi jihadisti in Mali si parla poco. La loro frequente ricorrenza – proseguono sotto forme diverse dal 2012 – li rende poco ‘notiziabili’ e li relega al lancio d’agenzia.
Tornano sotto i riflettori in casi ritenuti eccezionali, come l’annuncio di un qualche bilancio ‘record’ delle vittime, oppure per un qualche dato politico/strategico che sfugge alla morsa del presente.
È in quest’ultima categoria che possiamo includere il rapimento in Mali di Thierno Amadou Hady Tall, un imam guida della confraternita Tidjaniya, una branca sufista (e quindi non-violenta) dell’islam diffusa in Africa occidentale.
La natura pacifica del suo credo ha portato al rapimento avvenuto il 26 dicembre scorso nella località di Nioro du Sahel, nell’ovest del Mali, non lontano dal confine con la Mauritania. Di recente i sermoni di Tall avevano invitato i giovani a non farsi reclutare dalle formazioni jihadiste.
A rivendicare l’azione, è stata il Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (GSIM), la sigla terroristica di matrice islamica nel Sahel affiliata ad Al-Qaeda.
In seguito, il GSIM ha annunciato il decesso di Tall, che sarebbe avvenuta prima ancora di passare davanti al proprio tribunale. La ferita da arma da fuoco subita durante il sequestro gli sarebbe stata fatale.
Le autorità religiose del Mali sono però scettiche sulla veridicità della dichiarazione e conservano speranza di saperlo vivo.
Cambio di rotta
Il rapimento di Tall rappresenta una rottura significativa rispetto alla pratica corrente in cui i gruppi jihadisti avevano generalmente evitato di colpire figure religiose dell’islam. Non si assisteva a un attacco contro simboli dell’islam dal 2012, quando vennero distrutti i mausolei sufi a Timbuctù.
Questo cambiamento di strategia può essere interpretato come un tentativo dei gruppi jihadisti, in particolare dello GSIM, di colpire l’islam sufi rappresentato dalle confraternite come la Tidianiya.
Per i jihadisti, che promuovono una visione estremista e puritana dell’islam, il sufismo è spesso considerato una deviazione che va eliminata.
Bakary Sambe, direttore del Timbuktu Institute a Dakar, ha spiegato all’emittente francese RFI come «il messaggio inviato dallo GSIM è innanzitutto quello di attaccare coloro che difendono un islam pacifista, coloro che scoraggiano il reclutamento jihadista, coloro che costruiscono contro-narrative rispetto all’ideologia che lo GSIM difende.
È anche sicuramente un messaggio politico per dire alle autorità [maliane di transizione, ndr]: “la lotta accanita che portiamo contro di voi sarà condotta anche contro tutti coloro che vi sono vicini”. E questo, in un momento in cui il regime di Bamako sembra avere un po’ di difficoltà a respingere i gruppi jihadisti.»