
Il panorama politico del Mali è in fermento dopo la conclusione di un forum nazionale di consultazione sulla revisione della carta dei partiti politici. Le raccomandazioni emerse da questo processo, che ha coinvolto le cosiddette “forze vive della nazione”, delineano una trasformazione radicale del sistema di governo e dell’organizzazione politica del paese.
Al centro delle proposte vi è la richiesta di elevare l’attuale leader della giunta militare, il generale Assimi Goita, al ruolo di presidente della Repubblica per un mandato quinquennale rinnovabile a partire dal 2025.
Una mossa che segue dinamiche simili osservate in altri paesi della regione, come il Niger, anch’esso guidato da un leader golpista.
Parallelamente, le consultazioni hanno avanzato proposte incisive riguardanti i partiti politici. Tra queste spiccano la richiesta di dissoluzione di tutte le formazioni politiche esistenti e l’introduzione di condizioni estremamente restrittive per la creazione di nuovi partiti.
Tra i requisiti figurano una cauzione di 100 milioni di franchi CFA (circa 170mila dollari), limiti di età per i dirigenti (25-75 anni) e l’obbligo di una significativa presenza regionale. Si suggerisce inoltre l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e la soppressione della figura del “capo dell’opposizione”. Un’ulteriore misura mira invece a prevenire il “nomadismo politico” dei funzionari eletti.
Queste raccomandazioni, qualora implementate, segnerebbero una netta discontinuità con il sistema multipartitico instaurato in Mali dopo la caduta della dittatura militare del generale Moussa Traoré nel 1991.
Diverse figure politiche hanno espresso preoccupazione, interpretando tali mosse come un tentativo della giunta militare di consolidare il proprio potere a scapito del pluralismo democratico. I sostenitori delle proposte sostengono invece che siano necessarie per risanare una scena politica percepita come frammentata e inefficiente.
Potere rafforzato e istituzionalizzato
Il Mali ha vissuto anni di instabilità politica e crescente insicurezza, acuita dalla presenza di gruppi armati jihadisti, in particolare nel nord del paese. Questa situazione ha eroso la fiducia nella capacità del governo civile di garantire la sicurezza e la stabilità.
In questo contesto di crisi, nell’agosto 2020, un colpo di stato militare guidato dall’allora colonnello Assimi Goita ha deposto il presidente Ibrahim Boubacar Keita. I militari giustificarono l’intervento con la necessità di ristabilire l’ordine e affrontare l’insurrezione jihadista. Inizialmente, la comunità internazionale chiese un rapido ritorno al governo civile.
Tuttavia, nel maggio 2021, un secondo colpo di stato, guidato ancora una volta da Goita, ha consolidato ulteriormente il potere della giunta militare. Questo secondo intervento avvenne in un momento di transizione politica, dopo l’annuncio di un nuovo governo.
Da allora, il Mali – così come i suoi vicini Burkina Faso, Niger e Guinea – è governato da un regime militare di transizione che ha progressivamente allentato i legami con i partner tradizionali, come la Francia, e si è avvicinato ad altri attori internazionali, tra cui la Russia. Le elezioni, inizialmente previste, sono state ripetutamente rinviate, ufficialmente a causa della persistente insicurezza nel paese.
Le attuali raccomandazioni del forum di consultazione sembrano indicare una volontà della giunta militare di istituzionalizzare il proprio potere attraverso la figura di un presidente e di ridefinire radicalmente il panorama politico, limitando significativamente il ruolo e la pluralità dei partiti.
La palla passa ora al generale Goita, che dovrà decidere se dare seguito a queste proposte. Una scelta che appare largamente scontata.