
Vuole restare al potere. Almeno, dice lui, per altri cinque anni. Ma le forze politiche maliane non credono alle parole del generale Assimi Goita che al potere era arrivato con un colpo di stato nel 2020 ed uno successivo solo dopo nove mesi, nel 2021, per consolidare la sua posizione.
Aveva promesso una transizione democratica entro il 31 dicembre 2025. Ora invece si rimangia la parola.
Qualche giorno fa a seguito di una serie di consultazioni a cui però non sono stati invitati i principali partiti politici è stato raccomandato – così si legge nei comunicati ufficiali – che il generale Goita venga nominato, senza elezioni, presidente della Repubblica con un mandato di almeno cinque anni.
C’è di più, nel frattempo dovranno essere sospese le programmazioni di consultazioni elettorali e sciolti tutti i partiti politici.
La motivazione addotta dalla “Conferenza nazionale di rifondazione” messa in piedi dalla giunta militare nel 2022, è che prima di passare ad elezioni democratiche e ad un eventuale governo laico, bisogna pacificare il paese.
Un paese – che si trova all’interno del Sahel – caratterizzato da decenni di instabilità politica con un deterioramento dei diritti umani che è andato peggiorando nel tempo e che ha ormai raggiunto limiti insostenibili.
Sono andati aumentando, infatti, gli attacchi contro i civili da parte di gruppi armati islamisti legati ad al-Qaida e allo Stato islamico nel Grande Sahara (ISGS) e le operazioni antiterrorismo portate avanti su larga scala da parte delle forze armate maliane e dei suoi alleati stranieri, compresi i paramilitari russi.
A questi si aggiungono le operazioni di gruppi ribelli per lo più di etnia tuareg che reclamano l’indipendenza per la regione desertica settentrionale del Mali.
Secondo l’ultimo report del 2024 di Human Rights Watch, la violenza ha esacerbato una crisi umanitaria già disastrosa, con almeno 8,8 milioni di persone che necessitano di assistenza e oltre 575mila costrette ad abbandonare le proprie case, tra cui 375mila sfollati interni e 205mila rifugiati nei paesi vicini. E questi dati sono relativi al 2023.
Proteste a Bamako
Ma i partiti politici e le forze della società civile non ci stanno a questa nuova azione di forza. Lo dimostrano le manifestazioni organizzate nei giorni scorsi per le strade di Bamako al grido di “Viva la democrazia, abbasso la dittatura!” Secondo gli osservatori si è trattato di uno degli atti di protesta più visibili contro l’esercito da quando Assimi Goita, divenuto generale nell’ottobre 2024, ha preso il potere.
La cosa paradossale è che ora la parola passa al generale. Dovrà essere lui ad accettare o meno le raccomandazioni presentate da quelle stesse persone, esponenti della giunta, a lui vicine.
Se si concedesse unilateralmente un nuovo mandato quinquennale, il capo della giunta maliana imiterebbe i suoi omologhi golpisti alla guida del Burkina Faso e del Niger, che formano con lui l’Alleanza degli stati del Sahel (AES). Alleanza che dal 29 gennaio scorso è fuori dall’ECOWAS/CEDEAO, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale, e dal marzo 2025 ha chiuso la porta all’Organizzazione internazionale della francofonia (OIF), organizzazione di paesi che condividono la lingua francese.
A dimostrazione che non tutta la gioventù maliana, come si vuol far credere, sia dalla parte dei golpisti, il fatto che ad alcune manifestazioni organizzate da una coalizione di diverse decine di partiti politici maliani e la rispettiva classe politica che li rappresenta, abbiano partecipato movimenti giovanili della società civile.
Giovani in qualche modo persi tra le decisioni di adulti e uomini di potere che non danno risposte concrete alla crescita del paese o al problema della disoccupazione, troppo impegnati – dicono – a combattere il jihadismo e ristabilire la pace senza pensare che proprio le questioni sociali non risolte incrementano le lotte intestine.
Ora, il rischio dello scioglimento dei partiti politici e della evidente stretta militare rende più difficile un dialogo tra le forze del paese, e chi continua a credere e a volere le elezioni e una svolta democratica teme le rappresaglie e teme che il clima di repressione diventi ancora più pesante.
Intanto dalle riunioni di protesta è emersa la richiesta e l’ipotesi di una mobilitazione generale e non violenta per bloccare i tentativi di dittatura militare nel paese. Una nuova mobilitazione è stata indetta per il 9 maggio a Bamako, davanti al monumento all’Indipendenza.