C’è una grande macchia bianca sulla cartina calcistica del continente africano: quella della CECAFA, l’associazione pallonara dell’Africa orientale. A ricordarcelo un’altra volta è stata la cerimonia del sorteggio dei gironi di qualificazione alla prossima Coppa d’Africa, tenutasi lo scorso 4 luglio.
Con 54 membri, la CAF è una delle più grandi federazioni continentali, raggruppa al suo interno 5 confederazioni regionali, ma da sempre non viaggia a velocità uniforme, sia nel sistema dei club sia in quello delle nazionali.
Dal 1957, anno della fondazione del governo calcistico africano, solo 13 paesi africani hanno preso parte a una fase finale della Coppa del Mondo. Ciò significa una cosa soltanto, ovvero che circa il 75% dei paesi africani non ha mai partecipato alla più importante manifestazione calcistica mondiale. Ma solo un’area geografica non ha mai avuto una propria ambasciatrice: l’Africa orientale.
Ritardo perenne
La cosa meno rassicurante è che la situazione attuale non sembra essere particolarmente incoraggiante per il futuro. Faide interne alle federazioni, ingerenze governative sempre più asfissianti e carenze strutturali dei vari movimenti, sono tra le principali motivazioni alla base del ritardo accumulato dall’Africa orientale nei confronti delle altre 4 macroregioni calcistiche in cui è suddiviso il pallone africano.
Simbolica e allo stesso tempo drammatica è la situazione dell’Eritrea, che non gioca gare ufficiali da due anni e mezzo, finendo per scomparire anche dal ranking FIFA. A novembre, inoltre, i Ragazzi del Mar Rosso – come sono popolarmente soprannominati i calciatori della nazionale eritrea – hanno annunciato il loro ritiro dalle qualificazioni verso il prossimo Mondiale.
Né la ENFF (la federazione locale) né la CAF hanno fornito una motivazione ufficiale, ma secondo quanto riportato anche dal Guardian, la scelta sarebbe stata dettata dalle presunte pressioni ricevute dal regime di Isaias Afewerki – presidente dal 1993 – terrorizzato dalle possibili fughe di calciatori all’estero, come già accaduto in passato. In ogni caso, un vero peccato, se si pensa che il calcio eritreo sembrava anche in sensibile crescita, con la finale di CECAFA Cup raggiunta nel 2019 e poi persa con l’Uganda.
Nemmeno la Somalia se la passa molto meglio. Nel 2017, a causa di lotte intestine all’interno della federazione, le Ocean Stars non sono state in grado di presentare una squadra per la CECAFA Cup, causando le più che legittime lamentele dei calciatori: «Non perdiamo contro gli avversari. Perdiamo contro la Federcalcio somala», ha tuonato l’allora capitano Ahmed Said Osanyo, dopo una sconfitta che ha sancito la mancata qualificazione della nazionale dalla Coppa Araba del 2021, puntando il dito contro la disorganizzazione della federazione.
Sempre nel 2017, invece, nel vicino Gibuti hanno pensato bene di sciogliere la nazionale (192ª nel ranking FIFA) per eccesso di umiliazioni. Il punto di non ritorno, che ha fatto imbufalire la federazione tanto da portarla a prendere una decisione così radicale, è stata una rotonda sconfitta per 5 a 1 subita con l’Etiopia. «Poiché come nazionale maggiore non facciamo risultati, ci concentreremo sulle squadre giovanili», ha annunciato il direttore tecnico Omar Ali Mohamed. «Non è assolutamente un problema economico, ma solo la nuova politica della Federazione».
Ripristinata quasi due anni più tardi, la nazionale del piccolo Stato che si affaccia sul Mar Rosso – che in passato era addirittura precipitata all’ultimo gradino della graduatoria FIFA – si è parzialmente ripresa sotto la guida del tecnico francese Julien Mette (2019-2021), salvo poi precipitare nuovamente oltre il 190° posto del ranking.
Lontani i tempi d’oro
Eppure non è stato sempre così, anche se i tempi in cui le nazioni dell’Africa orientale erano competitive a livello continentale sono piuttosto lontani. Si tratta, ormai, di ricordi piuttosto ingialliti.
Dal 1957 al 1970, agli albori della Coppa d’Africa, c’è stata quasi sempre una squadra orientale in finale. L’Etiopia dei fratelli Vassallo ha trionfato nel 1962; il Sudan del mitologico Ali Gagarin (idolo di un certo Samuel Eto’o) l’ha fatto nel 1970, ma in generale l’Africa orientale in quegli anni ha riscosso un discreto bottino: quattro secondi posti in 11 tornei dal 1957 al 1978, quando l’Uganda di Omondi si è fermata a un passo dal paradiso, sconfitta in finale dal Ghana.
Carenze infrastrutturali e scarsi investimenti
La carenza di giocatori dal curriculum prestigioso, che sottende un evidente gap a livello infrastrutturale e di know how con il resto delle macroaree africane, è un altro dei motivi della mancata competitività delle nazionali orientalì.
Se l’Africa occidentale e il Nordafrica continuano a sfornare giocatori di alto livello a ciclo continuo, sfruttando anche il lavoro delle numerose accademie spuntate come funghi agli inizi degli anni Duemila e gestite in collaborazione con club europei, infatti, si contano sulle dita di una mano i giocatori d’élite prodotti dall’area CECAFA.
Per dare un po’ il termometro della questione: il primo giocatore dell’Africa orientale a realizzare una rete in UEFA Champions League è stato il kenyano Victor Wanyama, con il Tottenham, nel 2012. Cioè, a livello storico, praticamente l’altro ieri.
Influssi post-coloniali
Dietro tutto ciò ci sono anche motivazioni di carattere storico. È abbastanza chiaro infatti che, il diverso impatto del colonialismo sui paesi che l’hanno subito, abbia recitato un ruolo determinante, terminando per riflettersi anche nel calcio. La Francia, ad esempio, ha esercitato un’influenza culturale molto superiore sulle società dell’Africa occidentale e del Nordafrica rispetto a quanto abbiano fatto Regno Unito, Italia e Portogallo nelle loro rispettive sfere di influenza.
Per dire, all’epoca, l’Algeria non era una semplice colonia, ma un dipartimento della Francia a tutti gli effetti. Tutto ciò, in qualche modo, agevolava il passaggio dei migliori giocatori nordafricani ai club francesi. Il caso simbolo è quello di Abdelaziz Ben Tifour, stella dell’Espérance di Tunisi, che poi avrebbe vestito le maglie di Nizza e Monaco, arrivando anche a rappresentare la Francia ai Mondiali.
Un discorso valido anche nel senso inverso: tornando a casa, dopo la stagione delle indipendenze, giocatori del calibro di Larbi Ben Barek, Mustapha Zitouni e Rachid Mekhloufi hanno portato con loro un enorme bagaglio di esperienza, contribuendo allo sviluppo e alla crescita dei movimenti calcistici nordafricani.
Tutto questo, invece, non è avvenuto in Africa orientale. A differenza delle squadre nordafricane, inoltre, le nazionali targate CECAFA non possono contare sulle diaspore, oppure nella migliore delle ipotesi, hanno un bacino ristrettissimo da cui poter attingere. Per dire: 14 dei 26 convocati del Marocco semifinalista all’ultimo Mondiale erano giocatori nati e cresciuti calcisticamente in Europa. Un qualcosa attualmente inimmaginabile per una nazionale dell’Africa orientale.
Voglia di ripartire
Qualche luce, anche se ancora molto flebile, tuttavia, comincia a intravedersi. La Coppa d’Africa del 2019, in Egitto, ha rappresentato un fatto storico. Per la prima volta, infatti, ai nastri di partenza c’erano ben 4 formazioni dell’Africa orientale: Uganda, Burundi, Kenya e Tanzania.
Due anni più tardi, invece, l’Etiopia ha fatto il suo ritorno nel torneo dopo quasi una decade di assenza, nonostante rimanga ben lontana dai fasti degli anni ‘60 (solo 4 qualificazioni nell’ultimo mezzo secolo di Coppa d’Africa).
Anche altre nazionali meno quotate, come la Somalia, stanno lanciando segnali incoraggianti. Ad ottobre del 2019, superando lo Zimbabwe da numero 202 del ranking, le Stelle dell’Oceano hanno conquistato la loro prima, storica vittoria nelle qualificazioni alla Coppa del Mondo. Non solo: per la prima volta, nel 2022, la nazionale allievi si è qualificata per la Coppa d’Africa U17.
Da qui a poter sognare un approdo al Mondiale, però, ce ne passa. Nonostante l’ampliamento del format, con i 10 posti potenziali (9+1) assegnati all’Africa, la presenza di una nazionale dell’Africa orientale al prossimo Mondiale sembra essere ancora un’utopia o, nel migliore dei casi, un sogno difficilmente realizzabile. Per certe cose, infatti, servono tempo e programmazione.
Il prossimo step, per le selezioni CECAFA, sarà quello di consolidarsi stabilmente nel tabellone principale della Coppa d’Africa. Solo successivamente si potrà verosimilmente sognare un biglietto per la Coppa del Mondo. Lo ha spiegato anche Walid Regragui, ct del Marocco, reduce dal quarto posto in Qatar: «Non puoi essere re del mondo, se non lo sei prima del tuo continente».